
Da che mondo è mondo, le rivoluzioni si compongono di due momenti: la teoria e la prassi. Spartaco non si limitò ad incitare i ribelli che aveva radunato affinché si liberassero dalla loro condizione di schiavitù, ma combatté in prima persona, tanto da finire ucciso in battaglia. I primi cristiani non si limitavano a diffondere il messaggio di Gesù nella zona intorno alla Galilea, ma ne raccontavano anche i prodigi. In tempi più recenti Gandhi, per tentare di rendere indipendente l’India dalla Gran Bretagna, non solo predicava la necessità di azioni nonviolente, ma cercava anche il modo di danneggiare l’economia inglese con proteste mirate.
Altri tempi, altre battaglie.
L’attualità ci consegna un diverso tipo di lotta, ma non meno decisiva: il tentativo di porre un freno al riscaldamento del pianeta non sarà infatti una battaglia di libertà in senso stretto, ma è decisiva per il futuro stesso di ciascuno di noi. La sensibilizzazione al giorno d’oggi non viene più fatta con la guerra o con la predicazione, ma con metodi “più consoni” ai tempi correnti, ovvero principalmente tramite l’attivismo di gruppi che cercano di risvegliare le coscienze, ricorrendo o ai freddi numeri, oppure ad azioni dimostrative come manifestazioni, blocchi stradali e gesti più eclatanti. È quest’ultimo il caso degli attivisti che hanno imbrattato o si sono incollati a statue e quadri all’interno di famosi musei: due quadri di Van Gogh (tra cui I Girasoli), una statua di Boccioni e altre due opere (tra cui anche un Monet) sono stati “vittime” di imbrattamenti, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della dipendenza dai combustibili fossili.
Reazioni scomposte.
Gli autonominati propalatori di verità contro le terribili “fake news” del web hanno accolto la notizia con grande scaltrezza, non sottolineando in alcun modo come le opere fossero comunque protette da vetri, quindi al riparo da danni derivanti da blitz di tal genere. Tralasciando infatti il titolo del Secolo d’Italia del 14 ottobre: “[…]Sconcertante sfregio di due attiviste gretine”, neanche l’informazione più “ufficiale” ha messo subito in risalto come le opere non vengano minimamente rovinate dagli attacchi: Radio 105, “I Girasoli imbrattati con la salsa di pomodoro dalle ecologiste”; Open, “Nuovo attacco degli ambientalisti in Germania: purè di patate contro un quadro di Monet”; Ansa, “Ecologisti lanciano liquido contro ‘I girasoli’ di Van Gogh”. E dopo l’informazione, poteva non dare il meglio di sé anche la politica nostrana, nella figura dei due Mattei, garantisti per passione e twittatori per compulsione? Nossignore. Il Matteo toscano ha allora parlato di “atto criminale”, il Matteo milanese di “imbecilli, vandali e criminali”. Addirittura.

Reazioni fallaci.
È inutile sottolineare come i giornali online, sopravvivendo grazie ai “click”, debbano puntare sull’indignazione istantanea: esplicando nel titolo come nulla di irreparabile sia successo, le visualizzazioni sarebbero state molte meno. Tuttavia il servizio reso al lettore è quantomeno discutibile: con i titoli di cui sopra non lo si vuole informare, ma mobilitare. Nessuno dotato di senno vuole infatti vedere ‘I Girasoli’ deturpati per sempre. Facendo dunque credere che sia accaduto ciò, il commento medio dell’utente non può che essere rabbioso, con un effetto autoassolutorio: vedendo cosa combinano gli attivisti, talmente “pazzi” da devastare un quadro, il commentatore si sente a posto con la coscienza, sollevato dal dovere di attivarsi. Una sorta di applicazione interna della fallacia logica cosiddetta del “tu quoque”: delegittimo la tua posizione appellandomi a ciò che anche tu fai di sbagliato.
Irrazionalità.
Sull’ambiente si confrontano poi da sempre posizioni piuttosto estreme tra di loro: tra un presidente Trump che, in occasione di una grossa ondata di freddo, chiese ironicamente un po’ di riscaldamento globale e un attivista catastrofico che preannuncia l’apocalisse (“moriremo tutti, la natura ci punirà, è destino”) è complicato mantenere l’equilibrio. A tutto ciò non giova una classe politica sempre pronta a scaricare sulla popolazione le colpe della sua inefficienza: è più facile ad esempio vietare all’anziano di annaffiare l’orto piuttosto che intervenire in maniera drastica sullo spreco idrico degli acquedotti, che ha ormai raggiunto valori annuali da record, paragonabili, secondo la Treccani, al contenuto di 360.000 piscine olimpioniche. Chi non crede ai cambiamenti climatici mette in atto complicati meccanismi di rimozione: nega, minimizza, posticipa (“Venezia nel 2100 sarà completamente allagata? Non importa, sarò già morto”), non aspettando altro che un assist per continuare a fare ciò che vuole. Sapere dunque che alcuni attivisti si “macchiano” di comportamenti un po’ al limite non può che farlo sentire “migliore”.

Guardare la luna e non il dito.
Si dice che quando il saggio indica la luna lo stolto guardi il dito. Tuttavia, nel caso dell’attivismo per la crisi climatica, guardare la luna potrebbe essere deleterio. Tenendo infatti presente la riluttanza degli occidentali a rinunciare al proprio benessere e considerando che alla maggioranza della popolazione di cui sopra importano cose molto più “terra terra” della generica “salvaguardia dell’ambiente”, l’esito scontato sarà che se blocchi la strada, al lavoratore interesserà più il ritardo al lavoro piuttosto che il futuro del mondo. Allo stesso modo, se tiri la zuppa contro un quadro, nell’immaginario collettivo resta l’opera deturpata e l’indignazione momentanea, non il messaggio contro la decarbonizzazione. Le azioni eclatanti sono sì disturbanti, ma assolutorie per chi, soprattutto tra i non più giovani, non vede l’ora che tutto cambi affinché tutto rimanga come è. Cosa resta da fare dunque? Coinvolgere gli appartenenti alla generazione Z in piazza, così come tante associazioni stanno già facendo con buoni risultati. Il mondo tra un po’ sarà loro, possiamo avere speranza che possano riuscire ove le vecchie generazioni hanno fallito.
Immagine di copertina: Attivisti davanti all’opera “I Girasoli” imbrattata.