Vanadio e i passaggi di stato della memoria

Nel penultimo racconto del “Sistema periodico”, intitolato Vanadio, Primo Levi racconta la dolorosa corrispondenza epistolare con un chimico tedesco di Auschwitz.

Partendo dalle caratteristiche peculiari di un dato elemento chimico, Primo Levi tesse un’autobiografia diluita in ventuno racconti, ciascuno intitolato con un elemento della tavola periodica.

Edito nel 1975, il Sistema periodico è stato riconosciuto nel 2006 dalla Royal Institution del Regno Unito come miglior libro di scienza mai scritto, omaggio votivo e manifesto metaletterario della chimica.

Nel penultimo racconto, Vanadio, Levi racconta un episodio in qualità di tecnico di laboratorio alla Siva di Torino, società industriale di vernici presso cui era stato assunto dopo la guerra. Alle prese con una resina difettosa, l’autore si sarebbe ritrovato a scrivere un reclamo al fornitore tedesco, la «grande e rispettabile industria W.» nata dallo smembramento della IG Farben.

La missiva di risposta è firmata da un tale Dottor Müller, cognome che però non passa inosservato a Levi e che trova conferma in un lapsus ortografico del mittente: l’interlocutore tedesco altri non è che l’ingegnere chimico responsabile del laboratorio della Buna, struttura in cui Levi aveva lavorato durante la prigionia ad Auschwitz.

Al doloroso riconoscimento, segue uno scambio epistolare intenso e problematico; il grigio Dottor Müller della finzione diviene un calco di quello vero, l’interlocutore di carta che Levi teme e attende da tempo:

 «L’incontro che io aspettavo, con tanta intensità da sognarlo (in tedesco) di notte, era un incontro con uno di quelli di laggiù, che avevano disposto di noi, che non ci avevano guardati negli occhi, come se noi non avessimo avuto occhi. Se questo Müller era il mio Müller, non era l’antagonista perfetto, perché in qualche modo, forse solo per un momento, aveva avuto pietà, o anche solo un rudimento di solidarietà professionale».

Mostra del centenario della nascita di Primo Levi.

Un desiderio tanto spregiudicato ritorna anche nel capitolo Il risveglio in La tregua, proprio al cospetto dei tedeschi «civili» che Levi e i suoi compagni liberati osservavano per le strade di Monaco: 

«Ci sembrava di avere qualcosa da dire, enormi cose da dire, ad ogni singolo tedesco, e che ogni tedesco avesse da dirne a noi: sentivamo l’urgenza di tirare le somme, di domandare, spiegare e commentare, come i giocatori di scacchi al termine della partita. Sapevano, «loro», di Auschwitz, della strage silenziosa e quotidiana, a un passo dalle loro porte? Se sì, come potevano andare per via, tornare a casa e guardare i loro figli, varcare le soglie di una chiesa?».

Levi rimarca la differenza tra «prendere le misure» e «fare vendetta», chiarendo al lettore che «Müller non è l’antagonista perfetto». La compresenza in Müller di collaborazione e pietà, in bilico tra la solidarietà professionale e il desiderio di decoro, lo rendono quindi «avversario» e non «nemico», come la metafora degli scacchi cara a Levi lascia intendere[1].

Il difficile “passaggio di stato” della resina è lo stesso che deve affrontare Levi-narratore accingendosi al racconto presente dopo la prigionia. L’obiettivo è la creazione di «un reticolo compatto e solido» della propria esperienza passata, ora rivendicata dalla lettura di Se questo è un uomo da parte di un tedesco di Auschwitz.

«Sì, il Müller di Buna era proprio lui. Aveva letto il mio libro, riconosciuto persone e luoghi […] Era ancora assai sfuocato, ma era chiaro che voleva da me qualcosa come un’assoluzione, perché lui aveva un passato da superare e io no: io volevo da lui soltanto uno sconto sulla fattura di una resina difettosa.

Di me, l’essenziale lo conosceva dal libro, e dalla corrispondenza aziendale sul vanadio. Avevo io molte domande da porgli: troppe, e troppo pesanti per lui e per me. Perché Auschwitz? Perché Pannwitz? Perché i bambini in gas? Ma sentivo che non era ancora il momento di superare certi limiti, e gli chiesi soltanto se accettava i giudizi, impliciti ed espliciti, del mio libro».

Copertina del Sistema periodico di Primo Levi.

Nel descrivere la risposta di Müller, l’autore deliberatamente porta al limite lo stridore tra rapporti privati e burocratici. Sembra delineare un personaggio utilitaristico, che non esita a forzare gli eventi per far «tornare i conti» della propria vita privata:

 «Era visibilmente opera di uno scrivente inesperto: retorica, sincera a mezzo, piena di digressioni e di elogi sperticati, commovente, pedantica ed impacciata. Attribuiva i fatti di Auschwitz all’Uomo, senza differenziare; li deplorava, e trovava consolazione al pensiero di altri uomini citati nel mio libro, Alberto, Lorenzo, “contro cui si spuntano le armi della notte”: la frase era mia, ma ripetuta da lui mi suonava ipocrita e stonata».

«Durante il suo breve soggiorno ad Auschwitz, lui “non era mai venuto a conoscenza di alcun elemento che sembrasse inteso all’uccisione degli ebrei”. Paradossale, offensivo, ma non da escludersi: a quel tempo, presso la maggioranza silenziosa tedesca, era tecnica comune cercare di sapere quante meno cose fosse possibile, e perciò non porre domande. […] Non si rendeva conto che l’unica persona al mondo che non poteva credergli ero proprio io».

Nella contesa della corrispondenza tecnico-legale l’unica paura è quella del fallimento umano; lo scambio sulla partita di vernici diviene il disperato pretesto di risarcimento della memoria.

«Paura era la parola: come non mi sentivo un Montecristo, così non mi sentivo un Orazio-Curiazio; non mi sentivo capace di rappresentare i morti di Auschwitz, e neppure mi pareva sensato ravvisare in Müller il rappresentante dei carnefici. Mi conosco: non posseggo prontezza polemica, l’avversario mi distrae, mi interessa più come uomo che come avversario, lo sto a sentire e rischio di credergli».

Gli scambi epistolari di Levi con i tedeschi agiscono a raggiera sulla sua produzione letteraria, senza però mai confluire in una pubblicazione; Vanadio sarebbe quindi il primo scritto in assoluto in cui l’esperienza di faccia a faccia coi tedeschi viene rielaborata in parole, costruita e messa in ordine.[2]

Fotografia di Primo Levi.

Definito da molti un racconto a scatole cinesi, la narrazione di Vanadio si interroga sul senso e sulla complessità individuale di un personaggio calcificato nella memoria.

Proprio quando Levi si sta affermando in Italia come il testimone di Auschwitz, a trent’anni dalla liberazione, questo testo reprime la stringente esigenza testimoniale, mettendo al centro personaggi funzionali e funzionanti al presente.

Pur essendo il penultimo racconto, spetta infatti a esso la chiusura del ciclo autobiografico che ha come protagonista Primo Levi: chimico ex deportato, studente e giovane uomo alle prese coi primi esperimenti, infine tecnico in una fabbrica di vernici, costretto di nuovo a fare i conti con il passato.

La controprova di Vanadio spinge il lettore a ripercorrere gli elementi, racconto per racconto, «cercando le tracce nascoste di un io costruito», sapientemente dosato tra scrittura e veridicità testimoniale. Ma su quale si fonda l’una e su quale poggia l’altra?

Per far fronte a simili domande, l’opera intera si avvale di un ultimo decisivo racconto, Carbonio. Qui il sostrato metaletterario segue le traiettorie ben precise dell’atomo di carbonio a cui è predestinato. Primo Levi è l’approdo finale dell’atomo, sacerdote della chimica, superstite dell’opera vivente ormai depositata e compiuta.

«Questa cellula appartiene a un cervello, e questo è il mio cervello, di me che scrivo, e la cellula in questione, ed in essa l’atomo in questione, è addetta al mio scrivere, in un gigantesco minuscolo gioco che nessuno ha ancora descritto. È quella che in questo istante, fuori da un labirintico intreccio di sì e di no, fa sì che la mia mano corra in un certo cammino sulla carta, la segni di queste volute che sono segni; un doppio scatto, in su e in giù, fra due livelli d’energia guida questa mia mano ad imprimere sulla carta questo punto: questo.»

[1] La difficoltà di giudizio nei confronti dei collaborazionisti che sarà poi il tema in Il re dei giudei del 1977 e del capitolo La zona grigia all’interno di I sommersi.

[2] Il sistema periodico di Primo Levi, a cura di Fabio Magro e Mauro Sambi, Vanadio di Martina Mengoni, 2022, Padova University Press.

 

Immagine di copertina: Illustrazione di Sofia Gianpaolo.

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