Un frame del film È stata la mano di Dio con Fabio Schisa e i genitori in vespa

È stata la mano di Dio – Il miglior Sorrentino

Un racconto autobiografico su vita e dolore.

Negli ultimi giorni È stata la mano di Dio, il nuovo film di Paolo Sorrentino, ha ottenuto l’attenzione della stampa grazie alla candidatura al premio Oscar nella categoria Miglior film internazionale. Nei mesi precedenti l’opera si era già guadagnata altri premi, tra cui spicca il Gran premio della giuria al Festival del cinema di Venezia.
Si tratta del film di Sorrentino più promettente dall’uscita de La grande bellezza (2013), dal momento che i suoi predecessori – Youth (2015) e Loro (2018) – non avevano avuto lo stesso successo né di critica né di pubblico. Quali sono le ragioni del successo? L’attenzione e l’entusiasmo sono meritati o è tutto frutto di un’ottima campagna di marketing?

Paolo Sorrentino è un regista che ostenta. Spesso sembra che alcune inquadrature e alcuni movimenti di macchina siano realizzati in modo elaborato solo per il gusto di farlo, sfociando nell’esibizionismo. Le sue sceneggiature hanno un tono molto solenne, quasi teatrale, con personaggi che talvolta danno l’idea di essere forzatamente arguti e profondi. L’impressione che genera è la stessa di un brano di letteratura in cui l’autore sceglie deliberatamente di adottare una prosa pesante e arzigogolata nella convinzione che questa sia l’essenza di ogni grande opera letteraria. In poche parole, la forma ha la precedenza sul contenuto.
Tuttavia, sarebbe ingiusto ridurre tutta la sua poetica a queste caratteristiche. Ci sono casi in cui il suo stile risulta funzionale al racconto, come nel caso de Il divo (2008) e La grande bellezza. Diversi personaggi, per quanto monotematici, riescono ad essere convincenti e a guidare la narrazione. Il suo stile registico non si limita alla sola ostentazione di abilità. In generale, Sorrentino ha dimostrato di essere un autore in grado di creare film validi.

Locandina del film È stata la mano di Dio
Locandina del film

È stata la mano di Dio è un’opera diversa dalle precedenti, priva delle caratteristiche estetiche sopracitate. È un film in cui il regista abbandona ogni vezzo stilistico e arriva a creare un racconto coeso e d’impatto. Forma e contenuto sono perfettamente bilanciati, dando vita a una narrazione profonda e articolata.
Il film, ambientato nella Napoli degli anni ’80, parla del liceale Fabio Schisa (Filippo Scotti) e si articola in due tempi ben definiti. La prima parte del racconto si concentra sulla narrazione dell’ambiente famigliare di cui vengono mostrate luci e ombre con un tono che ricorda molto Amarcord di Fellini, ma senza perdersi in un racconto corale. La seconda parte prende le mosse dalla tragedia che colpisce Fabio e che lo costringerà a maturare, nonostante tutte le incertezze e il senso di inadeguatezza.

Da un punto di vista tematico Sorrentino non racconta nulla di nuovo rispetto ai suoi altri film: ciò che cambia è il punto di vista. Mentre tutte le opere precedenti raccontavano di uomini maturi o anziani afflitti che vivono una vita senza alcun entusiasmo per le più svariate ragioni, qui il protagonista è un adolescente in cerca di una direzione per affrontare quella vita che i personaggi degli altri film rimpiangono.
Fabio è un giovane insicuro e isolato, senza amici e senza una ragazza. Non ha una direzione nella vita e trova conforto solo nello svago offerto dal calcio e nell’ambiente famigliare, tanto che gli unici momenti di gioia sono rappresentati dai ritrovi famigliari e dall’arrivo di Diego Armando Maradona al Napoli. È proprio la figura di Maradona a fare da collante tra le diverse situazioni del film: l’attesa di qualcosa che dia una scossa a una vita monotona è il tema principale di tutta la prima parte del film. Fabio non è il solo a provare questo sentimento, che è condiviso anche da altri personaggi più maturi, come a voler mostrare che non è una peculiarità dell’adolescenza. A tal proposito, risaltano le parole dell’anziano zio Alfredo: «Se Maradona non viene al Napoli, io mi uccido». Ciò che tutti cercano è una distrazione.

Tuttavia, questa speranza viene spezzata da una tragedia. Un incidente domestico colpisce la famiglia di Fabio, compromettendo per sempre l’ambiente famigliare. Il ragazzo si salva, essendo andato ad assistere a una partita del Napoli per vedere Maradona. Anche in questo caso, quindi, è fondamentale la figura del calciatore, che però acquisirà un significato diverso rispetto a prima. Sempre lo zio Alfredo: «È stato lui a salvarti! È stata la mano di Dio!»
Questo fatto – tratto dalla vita dello stesso Sorrentino – priva Fabio dei suoi unici punti di riferimento. Mentre Napoli festeggia la vittoria dello scudetto da parte del Napoli, il giovane si sente escluso da questo momento storico. Nessuna relazione umana può essergli di conforto. Affascinato dalla visione di un film del regista Antonio Capuano, Fabio matura l’idea di fare cinema. Recuperando le parole di Fellini riferitegli dal fratello Marchino, Fabio afferma: «La realtà non mi piace più. La realtà è scadente. Ecco perché voglio fare il cinema».

Frame del film con Fabio Schisa e il regista Antonio Capuano
Dialogo tra Fabio e Capuano

Uno scambio tra Fabio e Capuano stesso, che assume quasi la forma di un dialogo con la propria coscienza, mette in luce una visione più profonda. Non basta rivolgersi al cinema nella speranza di avere consolazione: bisogna avere qualcosa da raccontare. Capuano invita il giovane a non fuggire a Roma e a rimanere a Napoli, perché Fabio ha qualcosa da raccontare, ma non deve perderla. La realtà va affrontata e raccontata, non è qualcosa da cui fuggire.
Questo film riesce più di molti altri dello stesso regista a raccontare questa realtà, che non si riduce al trauma vissuto. Sorrentino abbandona Roma e torna a Napoli per narrare in modo completo e sfaccettato la complessità della vita senza eccedere in teatralità. Ogni elemento del racconto è perfettamente bilanciato ed è utile per la rappresentazione del tema di fondo della vicenda. Finalmente Sorrentino sceglie di mostrare qualcosa in modo naturale, senza quell’artificiosità che lo ha contraddistinto per la maggior parte della sua carriera. Tutto questo rende È stata la mano di Dio il film migliore del regista, probabilmente l’unico in grado di mettere d’accordo detrattori e sostenitori.

Immagine di copertina: Un frame del film È stata la mano di Dio

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