
Mia nonna mi racconta che quando aveva tre anni e mezzo – doveva essere il 1941 – disse a sua mamma, impegnata a stirare, che usciva per portare i confetti alla zia. Mise dei sassolini in un borsello e si incamminò lungo le rotaie del tram. Un operaio però la vide e la riaccompagnò a casa.
Questo aneddoto non ha nulla di speciale, ma sorprende per dove accadde: non in un piccolo borgo, ma nel centro di Milano, dove oggi non ci si aspetterebbe che una bambina possa andare in giro da sola e un operaio riconoscerla. Mia nonna, però, ne ha molte da raccontare, riguardo a questa dimensione di prossimità nella Milano della sua giovinezza: dei vicini che la facevano dormire tra di loro nel lettone quando i suoi genitori non c’erano, del pittore della casa di fronte che le fece un ritratto perché era una bella bambina con i riccioli d’oro, e dei “filarini” (i ragazzi che le facevano il filo) che la chiamavano dalla finestra per andare a ballare alla balera.
Una rete di interrelazioni sociali così spontanea e locale non è la prima cosa che si associa alla Milano di oggi. L’immagine che ci si compone in mente è piuttosto quella di efficienza e produttività, ristoranti “instagrammabili” e qualche nuovo grattacielo. Milano appare cucita su misura di laureati in economia e finanza, ha un debole per il design e le ultime tendenze ed è forse la città italiana più patinata e fighetta. A voler essere equa, ha i suoi pregi: offre prospettive professionali ineguagliabili e ha una proiezione internazionale del calibro di altre metropoli europee. Ma a Milano tanto gli spazi quanto i tempi di vita rispecchiano la preminenza del capitalismo nel suo plasmare l’organizzazione della vita umana.
Nella routine individuale, scandita dal tragitto casa-lavoro, non c’è tempo né occasione di intessere legami con il prossimo: gli spazi pubblici come le strade e le piazze vengono vissuti solo di passaggio, e se si vuole “uscire” a Milano l’opzione automatica è andare a mangiare o bere qualcosa, quindi spendere e consumare in un godimento privato al massimo condiviso con una cerchia di conoscenze già note. Tuttavia, una dimensione prossima e comunità può esistere anche nella metropoli, se sono presenti spazi di ritrovo e opportunità sociali che aggiungono un nuovo tassello nella scansione della giornata. Queste occasioni di interrelazione e mutualismo, dove esistere al di fuori della logica del profitto e della massimizzazione dell’utile e contribuire al benessere della comunità, sono presenti anche a Milano, ad esempio in spazi ibridi rigenerati.

Credits: maremilano.org
Negli ultimi dieci anni a Milano sono stati recuperati e riattivati ex spazi industriali, cascine, chiese, cinema, mercati e cortili che sono diventati nuovi punti di ritrovo per il quartiere. Tra questi vi sono BASE Milano, che sorge nell’ex-fabbrica Ansaldo-Breda, circoli Arci (come Arci Bellezza e Arci Biko) e Cascine riqualificate (tra cui Cascina Cuccagna, Cascina Martesana, Cascina Merlata e Cascinet). Questi spazi ospitano corsi, eventi, attività e associazioni ma si pongono prima di tutto semplicemente come luoghi dove passare il proprio tempo, da soli o in compagnia, e vivere attivamente il proprio contesto cittadino.
Recentemente riqualificati sono stati anche molti giardini pubblici, che da frammenti urbani inutilizzati sono tornati ad essere spazi di comunità vivaci e vivibili grazie all’iniziativa di associazioni di quartiere. Tra questi, il Giardino delle Culture, il giardino condiviso Isola Pepe Verde e il Giardino Comunitario Lea Garofalo. Inoltre, svariati progetti di Housing Sociale hanno promosso la formazione di comunità di vicinato attraverso l’inserimento nel contesto condominiale di spazi condivisi per lo sport e il tempo libero e servizi sociali collaborativi (tra questi, Redo Santa Giulia in collaborazione con mare culturale urbano).

Credits: isolapepeverde.org
Nel 2021 è nata quindi la rete degli spazi ibridi socioculturali di Milano che, con il supporto dell’amministrazione comunale, ora ambisce a raccogliere tutti i presidi milanesi di rigenerazione socio-culturale e welfare di comunità, in riconoscimento del valore di prossimità e condivisione tanto per le persone quanto per la società. Studi sociologici hanno infatti dimostrato che la vita associativa e l’impegno civico costituiscono un bene pubblico, un capitale sociale. La trama minuta e quotidiana delle relazioni sociali, informali o formalizzate in associazioni, contiene un accumulo di potenzialità positive che, si è osservato, facilita la cooperazione e quindi la risoluzione di problemi che necessitano di un’azione collettiva.
In questi spazi quindi la cultura, l’arte e lo scambio di saperi non rimangono puro intrattenimento privato, commercializzazione di servizi o volontariato, ma vogliono essere leva di cambiamento per la società. Le realtà in questione quindi si pongono come un’alternativa, o un complemento, all’organizzazione della vita e della città sopradescritta e quindi consapevolmente come “sedi di una rinascita”. Ciò è evidente nell’organizzazione giuridica che assumono: la maggior parte degli aderenti alla rete Spazi Ibridi è costituita da associazioni o imprese sociali, ossia enti privati che “esercitano un’attività di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”. Ad esempio il teatro/ristorante/ostello Olinda, che nasce negli spazi del vecchio Ospedale Psichiatrico Pini, e il ristorante Rob de Matt si dedicano all’inserimento lavorativo e sociale di persone con storie di marginalità e svantaggio (persone con disagio psichico, rifugiati e migranti in difficoltà, ex carcerati, NEET), e al contempo mirano a evitare di “riprodurre il ghetto” coinvolgendo la cittadinanza in eventi culturali.

Credits: spazibridisocioculturali.org
Infine alcune realtà nascono da esperienze di occupazione di spazi abbandonati da parte di collettivi di artisti e artigiani (come Stecca3) o come evoluzione del mondo dell’associazionismo di stampo libertario e dei centri sociali (La Scighera) e assumono quindi modalità organizzative ancora più radicali fondate sul principio democratico della cooperazione e autogestione. Che la Milano delle case di ringhiera stia tornando?
Immagine di copertina: Cascinet. Credits: cascinet.it