vulva che fa la comica davanti platea

Ironia e femminile: sodalizio necessario

Che vantaggi ha tratto l’establishment dalla narrazione tradizionale che, da sempre, ha voluto estromettere il genere femminile dalla produzione ironica?

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Era il 1926 quando Giovanni Battista Ughetti, professore di Patologia Generale all’Università di Catania e scrittore italiano, nel trattato “L’umorismo e la donna: deficienza dell’umorismo e del senso del comico nel sesso femminile” elaborava una teoria acritica – e a tratti esilarante – sull’assoluta incapacità delle donne a produrre ironia. Il senso dell’umorismo non rientrava nelle prerogative della donna in quanto tale e, qualora così non fosse stato, “essa non sarebbe stata perfettamente donna”.

Per quanto assistere alle buffe argomentazioni e alla fragile metodologia impiegate da Ughetti faccia sorridere è alquanto curioso come, ancora oggi, ciascuno di noi si sia imbattuto, sia in forma attiva che passiva, in affermazioni rispetto alla lacuna comica del genere femminile.

Siccome resta non provata la posizione tranchant, di matrice positivista, secondo cui la componente fisiologica abbia un impatto decisivo nel rapporto donna-ironia, è bene iniziare da un’indagine del 2015 sulla produzione umoristica dei generi svolta da Jeffrey A. Hall, professore di Scienze della Comunicazione all’Università del Kansas. In uno degli esperimenti più significativi Hall ha posizionato 51 coppie di studenti eterosessuali single, che non si conoscevano, in uno spazio circoscritto, e le ha lasciate interagire in totale libertà per dodici minuti. Dopo averli sottoposti ad un questionario è emerso che, sebbene non vi fosse – inaspettatamente direbbero alcuni – differenza fra generi rispetto alla produzione umoristica, si registrava un eclatante scarto nella modalità di selezione sessuale fra i generi.

Mentre per le donne è stato determinante, ai fini di un successivo appuntamento, che vi fossero stati tentativi ironici soddisfacenti da parte degli uomini, al contrario, per questi ultimi non è stata rilevata alcuna correlazione fra l’aver interagito con una donna dotata di particolare senso dell’umorismo e un successivo appuntamento.

A questo punto, spunta una domanda legittima: è possibile che l’irrilevanza per l’uomo del parametro dell’ironia nella donna abbia una connessione diretta con la riproduzione di un modello socialmente orientato?

podio fra donne la cui vincitrice è una donna che non ride
Il muso ti fa bella, illustrazione di Beatrice Perego

Il primo aspetto da esplorare per individuare la ragione della scarsa importanza dell’ironia quale criterio di selezione sessuale della donna ha carattere storico.

Fin dalla mitologia greca vi è un legame radicale fra la risata e l’organo genitale femminile. Esemplificativo è qui il mito greco di Demetra la quale, affranta dal rapimento della figlia Persefone per volere di Zeus, non trovò pace fino a quando Baubò, vecchia nutrice da cui era ospite, come unico modo per alleviare il dolore della dea svelò la propria vulva, strappandole così una risata incontrollabile. Ugualmente, in epoca medioevale, la Chiesa, se da un lato stigmatizzava la risata in quanto manifestazione del diabolico, dall’altro riservava il medesimo trattamento al piacere sessuale femminile, tollerato soltanto qualora favorisse la penetrazione dell’uomo.

Svuotate le labbra dal potere perturbante di sprigionare una risata e, specularmente, destituita l’autorità dell’organo femminile nella produzione del piacere, il mantenimento dell’ordine sociale era garantito.

Una lenta – e in ogni caso fittizia – apertura si è manifestata verso il XIX secolo quando, nonostante la risata rimanesse proibita, veniva ammesso il solo sorriso della donna poiché limitava, di fatto, quest’ultima entro il confine della sua potenza seduttiva, lasciandola agire in uno spazio controllabile. Infatti, mentre la risata è una risposta emotiva ingovernabile, che può disarmonizzare la fisionomia di un volto, il sorriso è una risposta ordinata e prudente.

Nel XX secolo, venuto meno l’interesse sociale ad interdire la risata della donna in quanto non più allarmante, si è collocata la donna nella sola posizione di fruitrice passiva dell’ironia dell’uomo, realizzando una regolamentazione implicita nelle – anche solo potenziali – coppie eterosessuali (che ancora oggi permane, come dimostra l’esperimento sopracitato di Hall).

Pertanto, i risultati dell’indagine sono indubbi: siamo pervasi da aspettative sociali e comportamenti di genere predeterminati che, di fatto, ostacolano il rovesciamento degli stereotipi di genere anche rispetto ad argomenti apparentemente trascurabili, come la produzione ironica del femminile.

tante donne di varie etnie che ridono su sfondo rosso
Create disordine, illustrazione di Beatrice Perego

Permane un dubbio: qual è la ragione strutturale – e quindi funzionale – della marginalizzazione della donna nella pratica umoristica all’interno della società contemporanea?

Helga Kotthoff, linguista tedesca e docente dell’Università di Friburgo, in un articolo intitolato Gender and humor: The state of the art, recuperando la nozione freudiana di “sense in nonsense”, ha illustrato come colui che produce ironia interrompa il rapporto con la realtà, offrendo un nuovo meta-luogo al proprio interlocutore, il quale resta in completa balìa dei percorsi ironico-cognitivi del primo. Il produttore d’ironia si trova, così, in una posizione sovraordinata, libero di poter formulare definizioni e di spaziare in un meta-luogo a lui familiare che si aprirà anche all’ascoltatore qualora l’ironia lo raggiunga. E’ evidente come, in assenza di un sistema di regolamentazione, il monopolio comico resti in capo al produttore d’ironia che ben può stravolgere, attraverso la propria gestualità o una battuta satirica, le regole sociali in vigore.

Il timore storico dell’autorità per la pratica umoristica nasce proprio dal suo potere distruttivo-creativo. Per questo l’establishment ha sempre adottato misure concrete per convogliare il riso all’interno di festività istituzionalizzate (si pensi al carnevale medievale o alla festa dei folli). Per chiarezza: regolamentare l’ironia significa privarla della sua natura sovversiva.

A questo punto è necessario un ultimo passaggio logico rilevante. L’assetto gerarchico della nostra società, pervaso dalla cultura patriarcale, dispone che, nella sfera pubblica, il dominio sia maschile. Quindi, se come è stato chiarito prima, allentare il rapporto con la realtà attraverso la produzione ironica permette l’elaborazione di nuove prospettivee questo non è altro che una forma di manifestazione del potere – è evidente come l’esclusione delle donne dalla produzione ironica sia, quantomeno in via indiretta, funzionale al mantenimento della struttura sociale patriarcale.

Lo stereotipo di genere dell’incompatibilità fra la donna e l’ironia contribuisce alla conservazione di aspettative culturali di genere secondo cui il femminile può soltanto accogliere, conservando la propria storica posizione passivo-ricettiva, anziché assumere il ruolo sociale di ideatrice propulsiva. E, sul punto, anche Helga Kotthoff è ferma.

collage di meme e comiche donne
Da in alto a sinistra: Eterobasiche, Yoko Yamada, Vabe RagaA, Crudelia Memon e Memi Borghesi

Chiaro che l’ironia quale strumento comunicativo non sia patrimonio di tutti. Ma, qualora vi sia del potenziale umoristico, esercitare ironia, in quanto donne, è una forma di stravolgimento della struttura sociale attuale.

Il modello tradizionale secondo cui la donna può assumere funzione ricevente-passiva nel processo ironico, per fortuna, sta perdendo terreno. In Italia, esempi calzanti che incarnano la disgregazione del monopolio maschile nell’ironia si rinvengono nel mondo della stand-up comedy (si pensi alla bresciana Yoko Yamada o Chiara Becchimanzi), dei meme (Crudelia Memon, Vabe RagaA o Memiborghesi) e del fenomeno esplosivo di TikTok (come la wave delle Eterobasiche, duo romano micidiale migrato oggi su instagram).

Asservire il riso e l’ironia al potere significa abbandonare uno strumento che può rivelarsi politico e che, proprio per la sua natura imprevedibile, può sollecitare un’adesione maggiore di altre modalità di interazione. Perciò: perchè non contribuire ad essere mezzi di disordine sociale in prima persona, sostenendo il genere femminile nella produzione ironica senza censure (per iniziare, per esempio, si possono spulciare le pazzeske sopracitate)?

Disclaimer: lo pseudo-rimedio finale non intende proporre al lettore una soluzione ancora dualista (uomo vs donna) nell’ironia – ovvero di scegliere le produttrici di ironia in quanto donne – ma di normalizzare, il più possibile, la produzione ironica anche nel femminile.

Immagine di copertina: Chiudi quelle labbra, illustrazione di Beatrice Perego

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