
Dopo tre articoli incentrati sulla Brescia veneta (li trovate qui, qui e qui), ho una splendida notizia per voi: si può parlare anche d’altro. Pur restando nel territorio bresciano, infatti, non c’è pericolo di annoiarsi, data la quantità di luoghi che aspetta solo una visita!
Tra questi, la chiesa di Santa Maria della Neve a Pisogne è una meta molto piacevole per una gita fuori porta.
Pisogn…eh?
«Quel ramo del Lago Sebino che volge alle una…». Ah, non era così?
Sta di fatto che il comune di Pisogne si trova sulla sponda orientale del Lago d’Iseo, molto a nord, in una posizione strategica. Sì, perché ha un porto che lo collega al resto del lago, ma al contempo è ai piedi della Valcamonica, quindi in pratica è sempre stato un punto di confluenza per le via di acqua e quelle di terra.

A confermare la sua posizione chiave, vi dico solo che da Pisogne passa l’Antica Strada Valeriana, cammino che collega il Lago con la Valcamonica e la Valtellina, ma anche la cosiddetta Via del Ferro,che congiungeva la Valcamonica alla Val Trompia ed era utilizzata per trasportare il ferro dalle miniere.
Insomma, con queste premesse, è comprensibile che il comune di Pisogne abbia goduto di una certa fortuna economica nei secoli scorsi e che, pertanto, non è poi così strano che nel Cinquecento sia stato chiamato un pittore come Girolamo Romanino (non esattamente l’ultimo arrivato) ad affrescare una chiesa eretta ai margini dell’abitato.
Sembra una chiesina come tante altre
quella che si vede in fondo alla Via Antica Valeriana, appena ci si lascia alle spalle l’edificio del Comune di Pisogne. In effetti, l’edificio segue lo schema tradizionale delle pievi bresciane della seconda metà del Quattrocento (ve ne farò conoscere altre prossimamente). La pianta è ad aula unica, cioè senza navate, e come spesso accade è coperta da volte a crociera, con una decorazione ad archetti pensili sotto la gronda del tetto. Data la presenza di questi elementi, si è ipotizzato che la chiesa sia stata costruita tra il 1475 e il 1500.[1]

La chiesina è dedicata a Santa Maria della Neve,
ma non perché a Pisogne il clima in inverno sia particolarmente rigido. Madonna della Neve è uno degli appellativi con cui la Chiesa Cattolica venera la Vergine Maria ed è ricondotto a un’antica leggenda:
Roma, agosto del 352 d.C.
[In una villa romana]
Un nobile patrizio portò il letto sul terrazzo, perché il caldo era insopportabile. Tra un improperio a Romolo e una maledizione a Numa Pompilio, si addormentò e sognò la Vergine. «O nobile patrizio» gli disse «domattina recati dove si sarà posata la neve e lì costruisci una chiesa».
«Ma che, davero? ‘A neve? A agosto?» pensò tra sé e sé il nobile patrizio, e poi continuò a dormire.
[Vaticano, stanza da letto di Papa Liberio]
Non meno accaldato degli altri romani, anche Papa Liberio si era addormentato sul balcone. Anche a lui apparve la Vergine Maria, per dirgli: «Liberio, domattina recati sul colle Esquilino».
«Agli ordini, Madre Santissima!» pensò tra sé e sé, e poi continuò a dormire.
[La mattina seguente, sul monte Esquilino]
Il nobile patrizio si fermò stranito davanti al cumulo di neve. Vide da lontano Papa Liberio e lo salutò: «Aò, com’era? “Le domeniche d’agosto, quanta neve che cadrà”, eh Papa?»
«Cosa ti porta qui, figliolo?», rispose il Papa, che non era ferratissimo sulla musica leggera.
«Mah, m’è apparsa ‘n sogno la Vergine Maria, m’ha detto de costruì ‘na chiesa dove avessi trovato la neve stamattina. Ero ‘n po’ stranito, ma adesso che ve vedo, Santità, me sembra tutto più chiaro», spiegò il nobile patrizio.
Il Papa acclamò al miracolo e tracciò il perimetro della chiesa, che il nobile patrizio fece erigere a sue spese. Oggi la conosciamo come la Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma.
Una committenza pubblica
Capita spesso che un edificio di culto sia proprietà di una famiglia (piena di pila) ed è ancora più facile che sia di proprietà della Chiesa. Santa Maria della Neve, invece, pare che sia stata di proprietà del Comune di Pisogne dalla fondazione, fino agli anni ’80 del Cinquecento. Sono proprio «li homini de Pisogni»[2] che commissionano a Girolamo Romanino l’incarico di dipingere l’interno della chiesa sulla Via Valeriana.
Gli affreschi di Girolamo Romanino (e bottega)
Eseguiti attorno al 1534, gli affreschi occupavano praticamente tutte le superfici verticali e il soffitto della chiesa di Santa Maria della Neve.[3]
Sulla controfacciata e sulle pareti laterali sono dipinte le Storie della Passione e Resurrezione di Gesù Cristo, per un totale di quattordici episodi che vanno cronologicamente dalla Cena in casa di Simone Fariseo all’Ascensione. Tali Storie si concludono con la raffigurazione della Pentecoste, sull’arco che divide la navata dal presbiterio. Lì, al culmine dell’arco, è raffigurato un Padre Eterno, e ai due lati dell’arco un Angelo Annunciante e una Vergine Annunciata. Infine, la volta di ciascuna delle tre campate ospita otto figure di Profeti e Sibille, oppure di Veggenti.

L’effetto è maestoso. Romanino si sforza di creare figure contorte e in precario equilibrio, le gestualità dei personaggi sono vigorose e la loro espressività è marcata, realistica. Per usare un tecnicismo, si dice che in questi affreschi «si manifesta una cifra anticlassica», cioè che il pittore rifiuta la pittura misurata ed elegante che andava grandemente in voga nel Cinquecento (per intenderci: quella che a Brescia è ben rappresentata da Alessandro Bonvicino, “il Moretto”).
Perché è detta “Cappella Sistina dei poveri”?
Quello che sembra un soprannome canzonatorio è in realtà un suggestivo richiamo all’opera michelangiolesca, coniato dal critico e scrittore Giovanni Testori.[4] L’analogia non è da scartare. A parte il fatto che sia la chiesa di Pisogne che la cappella di Roma sono affrescate su ogni centimetro quadro disponibile, bisogna ammettere che la forza emanata dalle figure di Romanino tiene bene il confronto con quelle di Michelangelo. La specifica “dei poveri” non deve leggersi come dispregiativa, ma evidenzia l’appartenenza dell’edificio agli umili, gli stessi umili che sono rappresentati – così reali e vigorosi – nelle pitture murarie.
Ed ecco spiegato il titolo dell’articolo. Avevate paura che fosse una tirata campanilista, vero? Ma l’ha detto un milanese, quindi non c’è questo pericolo.
Vi è piaciuta questa gita? Per commenti e consigli, non esitate a scrivere a echoraffiche@gmail.com!
Alla prossima!