Il dito e la luna: “Trump vs. Facebook” in prospettiva

“Bannato un Trump, se ne fa un altro”… Il problema vero, però, resta: come gestire l’informazione ai tempi dei social?

A costo di essere in ritardo rispetto agli eventi, a volte vale la pena di aspettare un attimo prima di esprimersi su ciò che accade. Ed è così che, quasi un mese dopo l’assalto al Campidoglio negli Stati Uniti, con il nuovo Presidente USA ormai insediato, ci ritroviamo qui a parlare del rapporto tra la politica e i social.

Nel vortice di notizie che riceviamo, questo dibatto sembra ormai acqua passata, ma in realtà è più attuale che mai. Va bene, Trump non è più presidente. Però Facebook è ancora lì, la politica pure, le fake news e la polarizzazione del dibattito anche: gli ingredienti ci sono ancora tutti, e le cose che sono successe il mese scorso possono succedere ancora (e altrove). Forse, allora, è meglio non far scivolare l’argomento nel dimenticatoio. Parliamone ora – e, con l’aiuto di questo mese che è passato, cerchiamo di mettere le cose in prospettiva.

Come spesso accade, il grosso del dibattito del mese scorso si è concentrato sull’evento più appariscente: la decisione di Facebook di bloccare il profilo di Trump, al tempo Presidente USA. Qualcuno dice che è stata una buona scelta, perché ha impedito a Trump di istigare alla violenza. Altri dicono che non è affatto un buon segno, e temono che questo tipo di azioni possano portare a un regime di censura. Tuttavia, per quanto questo dibattito sia interessante, non è quello su cui mi voglio focalizzare. Perché? Perché nella famosa metafora del dito e della luna, credo che la lite “Trump vs. Facebook” sia solamente il dito: offre indicazioni importanti, ma la cosa veramente importante è la luna. E in questo caso, la luna è il ruolo che i social hanno nel dibattito politico.

Donald Trump e Mark Zuckerberg durante un incontro, settembre 2019.
Credits: Joiyce N. Boghosian | Casa Bianca

A prima vista, potremmo dire che il 6 gennaio 2021 un gruppo di manifestanti ha assaltato il Campidoglio perché Trump li aveva incitati a manifestare contro un’elezione a suo dire truccata. Guardando un po’ più in profondità, però, l’assalto al Congresso fa spuntare un’altra domanda: com’è possibile che così tante persone possano essere così convinte che le elezioni fossero state truccate, nonostante il parere contrastante non solo del sistema di giustizia americano, ma anche di una buona fetta del partito di Trump stesso? Il fatto che Trump abbia ripetuto mille volte la sua tesi di sicuro ha contribuito. Ma il fattore chiave è probabilmente un altro: molte di queste persone sono esposte a una sola versione dei fatti – quella che è già la loro.

Il concetto di base è quello delle “bolle di filtraggio”, un fenomeno che diventa particolarmente problematico quando i social media vengono usati come fonte di informazioni. Per loro natura, i social tendono a farci vedere quello che ci piace. Non solo questo è ciò che li rende attraenti per noi, ma è anche ciò che gli permette di guadagnare vendendo i nostri dati e le nostre preferenze. Di per sé, non c’è nulla di male nel suggerirci qualcosa che ci potrebbe piacere. In fondo, chi non è contento quando YouTube o Spotify ci fanno scoprire un nuovo artista che pare perfetto per noi?

Quando i social vengono usati come fonte di informazione, però, il tutto diventa un po’ più pericoloso. Se siamo esposti prevalentemente a notizie e idee che rispecchiano già il nostro modo di vedere le cose, sarà facile diventare più radicali – e, ancora peggio, più ottusi. Le nuove notizie o opinioni che leggiamo confermano spesso la nostra visione degli eventi. Là fuori nel mondo c’è pieno di buone argomentazioni che potrebbero scalfire le nostre certezze. Purtroppo, però, se non le cerchiamo attivamente, ne vediamo poche – il famoso algoritmo di Facebook tende a non mostrarcele. Et voilà, la “bolla di informazione” è fatta.

Il meccanismo non è poi così diverso da quello che accade quando uno legge solo un certo giornale. La differenza, però, è che coi social la “personalizzazione” (e quindi la polarizzazione) dell’informazione raggiunge un altro livello. Volete una prova? Dopo un paio di giorni spesi a leggere informazioni sull’Islam su un giornale che ne parla, il giornale non si popola di opinioni di sostenitori dell’ISIS, con foto di teste mozzate annesse; la bacheca di Facebook, purtroppo, sì. 

Questo vuol dire che i social sono la rovina dell’informazione? No. I social sono solo uno strumento, e di conseguenza il loro effetto dipende da come vengono usati. Se siamo attenti e seguiamo varie fonti, possiamo far scoppiare la nostra bolla di informazione. Ma questa non è l’opzione di base: in assenza di uno sforzo attivo, è molto facile essere trascinati nelle nostre bolle – con effetti problematici per il dibattito politico.

Le “bolle di informazione”.
Credits: Rose Wong | Per NBC News

Ed eccoci allora al 6 gennaio, l’assalto del Campidoglio. Guardando un po’ più a fondo, forse i tweet di Trump non sono il vero problema. A voler essere sinceri, il vero problema è più profondo: come la maggioranza dei cittadini interpreta i tweet di Trump? Con buonsenso, esaminandoli a confronto con altre versioni dei fatti? O senza giudizio, prendendoli per veri a prescindere? Purtroppo, i social tendono a far prevalere il secondo approccio. Cancellare i tweet di Trump non cambierà granché, se non cambiamo il modo in cui analizziamo le informazioni che riceviamo – “bannato un Trump, se ne fa un altro”, per dirla chiaramente.

Il problema è serio. Sempre più gente usa i social come fonte di informazione, non solo in America, ma anche in Italia (il 50% degli italiani l’anno scorso, contro il 27% solo otto anni fa). E le bolle di informazione non colpiscono solo i sostenitori dei cosiddetti “populisti”, stile Trump o Salvini; colpiscono tutti, inclusi i sostenitori di Biden e di Sanders, di Monti, Renzi e Civati. 

E allora che si fa? Come le scoppiamo, ‘ste bolle di informazione? La cattiva notizia è che dobbiamo fare uno sforzo. Quella buona è che questo sforzo è sicuramente alla nostra portata. Basta un po’ di attenzione in più alle fonti che seguiamo, un po’ di voglia di mettersi in discussione ascoltando opinioni che non ci piacciono. Seguire su Facebook i nostri peggiori avversari politici o i giornali che più disprezziamo può essere fastidioso (vi assicuro che lo è), ma è anche molto utile e soprattutto estremamente importante. Ne va del dibattito politico, ne va della democrazia – non solo all’estero, ma anche qui da noi in Italia.

Immagine di copertina: Il Campidoglio a Washington DC la sera del 6 gennaio 2021. Credits: Leah Millis | Reuters.

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