Il puzzle della pace in Libia

L’accordo di tregua raggiunto in Libia la scorsa settimana è come il primo pezzo di un puzzle: difficile da metter giù, ma è solo l’inizio della sfida.

Finalmente un cessate il fuoco in Libia. Travagliato? Senza dubbio. Traballante? Probabile. Ma è comunque qualcosa, un piccolo passo avanti – o quantomeno un tentativo, per un paese che è maledettamente instabile da quasi dieci anni, e in guerra civile da circa sei.

I problemi attuali della Libia risalgono al 2011, con il rovesciamento di Muhammar Gheddafi (sì, proprio lui, quello con la scorta di amazzoni e la tenda piantata in centro a Roma). Prima del 2011, la Libia non era certamente un posto perfetto, viste le brutalità commesse dallo stato libico sotto la guida di Gheddafi. Quantomeno, però, il paese godeva di un certo livello di stabilità e di benessere economico, grazie a una grande ricchezza di petrolio e alle abilità politiche di Gheddafi, capace di tenere uniti in un modo o nell’altro i tanti interessi presenti nel paese.

Gheddafi a Roma nel 2010. Credits: Alessandro di Meo | ANSA

Dopo quarant’anni, però, l’era di Gheddafi giunge al termine nel 2011. È tempo di Primavera Araba, e le proteste esplodono anche in Libia. La reazione di Gheddafi contro le manifestazioni è durissima, e l’esercito libico sfrutta tutto il suo equipaggiamento – aerei da guerra inclusi – per avere la meglio sui ribelli. Ma la situazione si ribalta presto, quando l’ONU autorizza la NATO a proteggere i civili libici dagli attacchi di Gheddafi. L’intervento NATO dà un grosso vantaggio ai ribelli, che guadagnano terreno e rovesciano il loro ex-leader, uccidendolo a sangue freddo il 20 ottobre.

Il post-Gheddafi, però, non è per nulla facile per la Libia. Divisioni profonde che il governo autoritario di Gheddafi aveva tenuto sotto controllo riemergono con forza. Il paese è composto da regioni diverse tra loro, unite solo a inizio ventesimo secolo dai colonizzatori italiani, e da un largo numero di tribù, ognuna con i propri interessi. Elezioni nel 2012 e nel 2014 non aiutano a risolvere le divisioni politiche della Libia – anzi, la crisi post-elettorale del 2014 è la scintilla che lancia il paese in una nuova fase di conflitto.

Dopo le contestate elezioni del giugno 2014, il paese si ritrova diviso in due, con un governo a Tripoli, nell’ovest del paese, e un altro a Tobruk, nell’est, dove l’ex generale Haftar aumenta il suo potere. I mesi seguenti sono caratterizzati da scontri tra milizie, ma anche dalla comparsa in Libia dell’ISIS, che approfitta del caos per prendere controllo di alcune città. Anche grazie alla necessità di combattere lo Stato Islamico, a fine 2015 l’ONU riesce a mediare un accordo tra i due governi rivali a Tripoli e Tobruk, dando così vita al cosiddetto Governo di Accordo Nazionale (GAN, o GNA in inglese), guidato da Fayez al-Sarraj.

La situazione in Libia a settembre 2020. Credits: United States Congressional Research Service

A dispetto del nome, però, le due componenti del governo non vanno molto d’accordo. Nel 2016, mentre le fazioni di Tripoli cedono il potere al GAN, la Camera dei Rappresentanti di Tobruk si rifiuta di fare altrettanto. Inizialmente, le due fazioni non si scontrano direttamente – entrambe occupate a espellere lo Stato Islamico dalle sue roccaforti. Messa (relativamente) sotto controllo la minaccia dell’ISIS, però, le tensioni tra est e ovest salgono di nuovo. La situazione precipita nel dicembre del 2017, quando – dopo il fallimento delle trattative tra le due parti – Haftar dichiara nullo l’accordo di fine 2015.

È questo il contesto in cui si può capire l’ultimo episodio della saga libica. Dopo aver preso controllo della gran parte del paese, inclusi i maggiori giacimenti di petrolio, nell’aprile del 2019 l’ELN di Haftar decide di completare l’opera: offensiva militare a ovest, con l’obiettivo finale di spodestare il GAN, che il generale accusa di essere alleato con fondamentalisti islamici. Con l’aiuto di alcuni stati amici – in particolare l’Egitto, gli Emirati Arabi, la Russia, e la Francia – l’ENL si avvicina velocemente al successo, e in dicembre Haftar annuncia la “battaglia finale” per conquistare Tripoli.

Ma le miredi Haftar sono destinate a rimanere solo speranze. Il GAN, nonostante sia il governo riconosciuto dall’ONU, nei fatti è supportato da relativamente pochi paesi – l’Italia, il Qatar, e la Turchia. Quest’ultima, però, è veramente decisa a fare “qualsiasi cosa sia necessaria” per supportare il suo alleato – parola del presidente Erdogan in persona. Dalla Turchia arrivano sempre più consiglieri militari, armi (droni inclusi), e perfino combattenti siriani. In poco tempo, la situazione si ribalta. La “battaglia finale” per Tripoli non è per niente finale: il GAN respinge l’offensiva dell’ENL, e comincia a riconquistare territorio nel nord-ovest del paese. 

Ed eccoci allora alla tregua, decisa a Ginevra il 23 ottobre 2020. Perché proprio adesso? Perché non qualche mese fa, prima dalla battaglia per Tripoli? La risposta è tanto semplice quanto triste. Purtroppo, spesso si decide di far pace non perché la pace è bella, ma perché ci si accorge che non è più possibile stroncare il nemico con le armi. Nella convinzione di poter vincere sul campo di battaglia, fino a pochi mesi fa l’ELN di Haftar non aveva alcun interesse a scendere a compromessi. A seguito dell’intervento turco e della controffensiva del GAN, però, entrambe le fazioni si sono trovate bloccate in uno stallo militare che non conveniva più a nessuno – la condizione perfetta per trovare un accordo.

Ginevra, 23 ottobre 2020 - Il GAN e l’ENL raggiungono un accordo. Credits: UNSMIL

L’accordo, però, è solo un piccolo passo. Come si è visto in passato – in Libia e altrove – questi accordi sono semplici pezzi di carta, che non valgono nulla se non sono tradotti in realtà sul terreno. L’intesa prevede l’uscita di scena di tutte le truppe estere presenti in Libia, e dipende quindi dalla volontà dei sostenitori delle due fazioni – soprattutto Russia e Turchia, che hanno una maggiore presenza sul terreno – di rispettare l’accordo. Inoltre, come se il casino descritto in questo articolo non bastasse, il conflitto libico è in realtà molto più complicato della divisione “est vs. ovest” presentata qui. Ognuna delle due fazioni è composta o supportata da tanti gruppi più piccoli, che non esiteranno a mettere i bastoni fra le ruote al processo di pace se i loro interessi non saranno rispettati.

I pezzi da mettere insieme per ottenere un po’ di pace e stabilità in Libia sono quindi tanti. Avete presente il momento in cui mettete giù il primo pezzo di un puzzle? Non è facile da scegliere, ma la vera sfida è poi completare il resto. Ecco, il cessate il fuoco della scorsa settimana è un po’ come il primo pezzo del puzzle: difficile da metter giù, ma è solo l’inizio.

Immagine di copertina: L’accordo di tregua raggiunto in Libia la scorsa settimana è come il primo pezzo di un lungo e difficile puzzle. Credits: Libya Tribune

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