L’Unione Europea è di destra?

Indaghiamo l’impatto della dottrina neoliberal sull’UE.

La storia dell’integrazione europea dal dopoguerra ai giorni nostri viene spesso, e non a torto, presentata nei termini di un riscatto morale e politico, un lampo di raziocinio collettivo da parte delle classi dirigenti a seguito di uno dei conflitti più violenti della storia continentale. In ragione di ciò, la narrazione che si fa della storia dell’integrazione europea tende a prescindere dalle fazioni ideologiche della politica tradizionale: in quanto il perseguimento della pace oltrepassa gli orientamenti partitici, l’evoluzione istituzionale europea viene difficilmente descritta come un processo di ‘destra’ o di ‘sinistra’, quanto semplicemente come ‘giusta’.

Così come giusti, o meglio ‘politicamente necessari’, sono spesso presentati i pilastri su cui questo processo stesso si è retto, quali il primato dell’integrazione economica sull’integrazione politica e culturale europea, l’accento sui diritti economici dei cittadini europei rispetto ai diritti sociali, e l’elitarismo alla base del progetto europeo.

Lungi dall’essere superiore alle logiche di destra-sinistra, ognuno di questi pilastri tradisce invece una connotazione ideologica forte e chiara, propria del neoliberalismo. In quanto espressione fiduciosa di un capitalismo apparentemente capace di auto-regolarsi e redistribuire la ricchezza ‘a cascata’ (la cosiddetta trickle down economics, di fatto da dimostrare), la dottrina neoliberal ha promosso una liberalizzazione economica a tappeto a partire dagli anni ’70-’80.

Joe Biden tiene un discorso di fronte al Congresso americano.
Momento Storico. Circa un anno fa, nell’aprile del 2021, il Presidente americano Joe Biden ha tenuto un discorso al Congresso, affermando che «la trickle down economics non ha mai funzionato» e descrivendola come un «fallimento».
Credits: Chip Somodevilla/Getty Images

Non bisogna quindi farsi ingannare da una narrazione storico-istituzionale che utilizzi un lessico ideologicamente ‘neutro’ per auto-descriversi: ogni scelta è una scelta politica, e in quanto tale orientata da principi che sono passibili di criticismo e giudizio. Già nel 1958, il teorico marxista Ernest Mandel metteva a nudo la natura ideologica europeista, avvertendo che «l’idea del libero scambio come fattore automatico di progresso e benessere è un mito; l’idea di un grande mercato indispensabile allo sviluppo economico e al progresso sociale è un altro […]. Ciò che conta è il progresso economico al quale partecipa il maggior numero possibile di uomini, il progresso economico nel progresso (e la giustizia) sociale. Noi (la critica marxista, ndr) partiamo dal primato del sociale sull’economico […]». Comprendere l’assetto ideologico su cui l’Unione si è basata diviene quindi un esercizio politico cruciale per identificarne le criticità presenti e immaginare futuri desiderabili ed inediti. Questo vale, a maggior ragione, per le nuove generazioni che si confrontano con le esternalità di un sistema che si è rivelato tutt’altro che perfetto, in quanto carente in termini di protezione sociale ed economica, e basato su un consumismo insostenibile e super-impattante. 

L’assetto istituzionale europeo a noi noto è un prodotto degli anni ‘80-’90, soprattutto da un punto di visto politico-economico: in questo arco temporale, assistiamo all’apertura del Mercato Unico Europeo (1986), alla fondazione dell’Unione Monetaria Europea (1993), all’istituzione della Banca Centrale Europea su modello della Bundesbank tedesca (1998) e all’introduzione dell’euro come European Single Currency (1999).

 

Sono questi gli stessi anni in cui il neoliberalismo di matrice Reaganiana si impone come dominante in Europa: in UK con Margaret Thatcher (primo ministro dal 1979 al 1990), in Olanda con Ruud Lubbers (1982-1994), in Belgio con Wilfried Martens (1981-1992), in Lussemburgo con Jacques Santer (1984-1995) ed in Italia con Berlusconi (1994-1995, 2001-2006, 2008-2011), assistiamo all’insediamento politico di una serie di personalità appartenenti ad una destra capitalistica, moderna ed estremamente fiduciosa nelle leggi invisibili del mercato. Caso degno di nota è poi la Francia del socialista François Mitterrand (1981-1995) il quale, dopo due anni di politica economica socialista volta alla nazionalizzazione, all’aumento del salario minimo e ad ulteriori riforme del welfare sociale, è costretto ad accodarsi al trend neoliberale europeo con un ‘ritorno al rigore’ (‘turn to rigor’) e all’austerità.

A livello nazionale l’intera classe politica si concentra su temi-chiave quali de-regolazione economica, anti-assistenzialismo, privatizzazione dei servizi pubblici ed austerità, al fine di combattere l’innalzamento del debito pubblico e ridurre le spese sociali. Come sostenuto da Wolfgang Streeck, le politiche neoliberiste di austerity non hanno però prodotto alcuna riduzione, ma anzi un allargamento, del debito pubblico, in quanto incapaci di redistribuire ricchezza – in barba alla trickle-down economics – e fare fronte ad un duraturo declino dei margini di crescita economica rispetto al boom economico degli anni ’60.

Per capire meglio quanto la dottrina neoliberale abbia effettivamente plasmato l’assetto politico-economico sovranazionale, e non solo quello nazionale, è alla crisi dell’Eurozona del 2009 conseguente al collasso finanziario del 2007 che dobbiamo guardare. Più precisamente, alla sua gestione promossa dalla Banca Centrale Europea.

La credibilità e la fiducia dei mercati nei confronti della BCE è sempre stata legata al suo status di indipendenza, a-politicità, e market neutrality, che garantisce un’economia di libero mercato aperta e in cui vige la libera competizione e la stabilità dei prezzi. Nonostante ciò, la gestione della crisi ha mostrato i bias neoliberali e l’indebita market-friendliness della BCE, la quale ha adottato un atteggiamento decisamente più stringente per il soccorso finanziario agli Stati, rispetto a quello riservato alle corporazioni private (banche in primis). È Tooze ad evidenziare come, attraverso l’acquisto di fette di debito sovrano e le attività di Erogazione di Liquidità Emergenziali (Emergency Liquidity Assistance) come forme di assistenza finanziaria, la BCE abbia imposto con il pugno di ferro un regime di austerità verso gli Stati insolventi; trattamento non egualmente riservato ai giganti bancari (‘too-big-to-fail’), il cui salvataggio, attraverso operazioni di rifinanziamento a lungo termine e quantitative easing, si è rivelato molto meno rigido.

La stessa decisione di perpetrare l’austerity da parte della BCE è stata una scelta ideologica prima che economica, in quanto la dottrina della ‘disciplina fiscale’ tipica dei paesi frugali non fornisce alcun aiuto sostanziale agli stati in difficoltà, ma anzi li deprime finanziariamente, riducendone il budget nazionale e la domanda interna, aumentando la disoccupazione, la povertà, il deficit e – conclusione paradossale – il debito pubblico stesso. L’austerity è un’invenzione neoliberale, la cui rilevanza nel corso della crisi dell’eurozona è stata solamente ideologica: quella di imporre una paternalistica lezione economica agli stati ‘lassisti’.

il giornale Tedesco Focus mostra in copertina una Venere di Milo con il dito medio alzato
Effetti collaterali. L’imposizione di uno stretto regime di austerity ha inoltre prodotto una becera culturalizzazione e razzializzazione della crisi economica. Nella foto, il giornale tedesco Focus mostra in prima pagina una Venere di Milo con il dito medio alzato, accompagnata da una didascalia che recita «Truffatori nella Famiglia dell’Euro».

In conclusione, l’Unione Europea è un progetto ‘di destra’? Dal punto di vista qui sviluppato,.

Se ci concentriamo sulla politica contemporanea, l’UE appare come tendenzialmente progressista, liberal-left. Ad esclusione delle pecore nere come Polonia o Ungheria, l’Europa si espone su temi quali diritti LGBTQ+, ambiente, solidarietà. La stessa discussione sul salario minimo attualmente in atto è un tema di sinistra. Ma, con il rischio di fare un processo alle intenzioni, questi sono tutti temi politicamente ed economicamente ‘monetizzabili’ e commerciabili.

Lasciamoci quindi con questa domanda provocatoria, da teorici marxisti: e se questa politica di alto profilo rappresentasse soltanto una sovrastruttura, che nasconde invece un rapporto di forza materiale, ovvero una struttura, ben più cinica?

Immagine di copertina: Illustrazione di @plumberg0

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