
Sintonizzandosi su un qualsiasi programma di dibattito politico, ci si può imbattere in uno sfondo a grafici e percentuali: le fatidiche previsioni di voto. Ma a dire il vero, i sondaggi d’opinione non prevedono l’esito delle elezioni, ma registrano le intenzioni di voto. Offrono quindi un mero fermo immagine delle opinioni correnti della popolazione. La prima domanda che dovrebbe sorgere spontanea allora è la seguente: questa immagine rispecchia la realtà?
Dato che non è possibile intervistare ogni membro della cittadinanza, il ritratto nazionale viene ottenuto intervistando un campione rappresentativo dell’intera popolazione. E’ sufficiente intervistare 1000 individui, proporzionalmente alle diverse fasce di età, provenienza, genere, livello di reddito ed educazione, per estrapolare un’immagine accurata di 60 milioni di italiani. I criteri di scientificità dei sondaggi sono stati rifiniti a partire dal 1936, quando George Gallup riuscì a “prevedere”, sulla base di poche migliaia di interviste scientificamente selezionate, la vittoria di Roosevelt, mentre la famosa rivista Literary Digest sbagliò previsione, nonostante avesse raccolto due milioni di preferenze.
Questo dimostrò che, se condotti in modo da evitare distorsioni, i sondaggi sono affidabili. In Italia, i principali enti demoscopici (Ipsos, Demos, SWG, Euromedia, Quorum, Bidimedia – fonte) rispettano i criteri di scientificità, nonostante il rischio di distorsioni sia sempre dietro l’angolo. Ad esempio, la crescente diffusione della metodologia CAWI, ossia dei questionari online, è meno affidabile delle tradizionali, ma più costose, interviste telefoniche. Oltre al rischio di autoselezione dei/delle partecipanti – potrebbero essere maggiormente rappresentate le opinioni di chi ha più voglia di far sentire la propria voce -, nei questionari online anonimi viene meno l’inibizione, dovuta alla “desiderabilità sociale”, che ci spinge a smorzare le nostre opinioni più estreme (inibizione che si verifica invece quando parliamo al telefono con un intervistatore).
Nonostante ciò, possiamo comunque concludere che i sondaggi sono affidabili. Tuttavia, rimane un problema fondamentale.

I sondaggi registrano le opinioni grezze della popolazione, ossia non ponderate: ciò che la gente pensa di una certa questione, anche quando magari non ci ha pensato affatto. Ritraggono le simpatie politiche di intervistati che probabilmente non hanno avuto tempo di leggere i programmi elettorali e basano la propria preferenza sul sentito dire, sul nome che strappa più spesso la prima pagina dei giornali, sul politico o la politica più chiacchierata. Insomma, sulla visibilità mediatica.
In un contesto di disillusione politica e accelerazione della vita quotidiana, che non lascia tempo di interessarsi alla cosa pubblica, i sondaggi catturano meramente il riflesso degli input provenienti dai media, l’eco che rimbomba nella cassa di risonanza del sistema d’informazione. L’opinione pubblica risulta quindi appiattita sul fattuale. Manca il filtraggio attraverso la riflessione e il giudizio di cittadini e cittadine, che sarebbe invece una componente importante da rappresentare e pubblicizzare. Questo è il difetto dei sondaggi standard: il mero ritratto del fattuale non informa sulle istanze di rinnovamento, e può disincentivare al cambiamento, accrescendo la rassegnazione.
Ad esempio, se sono intenzionata a votare per un partito piccolo, ma i sondaggi prevedono che potrebbe non superare la soglia di sbarramento, questa informazione potrebbe spingermi a ripensare la mia intenzione di voto e cambiarla in favore di un voto “utile”, più “sicuro”, che ha più probabilità di tramutarsi in un seggio alle camere.
Proprio su questo argomento ha fatto leva la campagna elettorale del PD: in un recente video, Enrico Letta si appella al voto utile basandosi su una serie di calcoli percentuali in cui tratta le preferenze elettorali alla stregua di blocchi da spostare a tavolino, come carri armati sulla plancia di Risiko, tralasciando che il voto dovrebbe esprimere i valori e le esigenze del popolo, non (solo) un calcolo strategico. Consideriamo il seguente dato fornito dall’ultimo sondaggio del Corriere:
“il 25% degli elettori del Pd potrebbe optare per l’alleanza tra Verdi Si e Reti civiche.”
Cosa servirebbe a quegli indecisi per dare fiducia a un partito piccolo, con cui magari si troverebbero ideologicamente anche più in linea? Semplicemente, sapere che anche altre persone lo faranno, e che quindi la propria scelta non sarà vana. La disponibilità del singolo a fare la propria parte in un’azione che richiede la collaborazione di altri/e per avere successo – come votare – dipende dalla fiducia sul fatto che anche le altre persone collaboreranno. Ma tale fiducia non è nutrita dal cinismo dei media e dall’ossessione per le percentuali.

E quindi?
Secondo Fishkin, direttore del Centre for Deliberative Democracy, bisognerebbe dare più spazio mediatico a un altro tipo di opinione pubblica, che rappresenti cosa la gente penserebbe se fosse ben informata e discutesse di politica con altri/e cittadini/e. Questa informazione “potenziale” rigenera fiducia reciproca nell’elettorato, senso di identità collettiva e di efficacia politica, precondizioni della partecipazione.
Come estrapolarla, però? A tale scopo, Fishkin ha sviluppato la tecnica del sondaggio deliberativo.
Un sondaggio deliberativo consiste nel selezionare un campione rappresentativo di persone e sondarne le opinioni grezze; poi, viene fornito materiale informativo e la possibilità di interpellare esperti/e. I/Le partecipanti si incontrano per un weekend e dialogano tra loro in tavoli di 10-15 persone, facilitati da mediatori. Alla fine del weekend, vengono sottoposti al medesimo sondaggio iniziale. Il risultato è che le persone, poste in queste condizioni ideali, modificano le proprie opinioni verso una direzione più empatica, solidale, comprensiva dei bisogni degli altri.
Ad esempio, i partecipanti e le partecipanti del primo sondaggio deliberativo (Manchester 1993, sul tema del crimine) hanno ridotto il loro supporto alle scorciatoie della polizia per chiudere i casi, e accresciuto la loro sensibilità ai diritti degli imputati e ai limiti del carcere come strumento di riabilitazione. Migliaia di esperimenti simili sono stati condotti in tutto il mondo negli ultimi vent’anni, favorendo l’emergere di un’opinione pubblica più informata e ragionata, condizione di possibilità di cambiamenti radicali come l’approvazione tramite referendum del matrimonio egualitario nella cattolicissima Irlanda.

Credit New York Times
Quindi, seppur utili, i sondaggi standard non meritano di catalizzare tutta l’attenzione mediatica. Problematizziamo il loro intrinseco conservatorismo, e teniamo a mente che altre rilevazioni dell’opinione pubblica potrebbero restituirci un’immagine diversa, che invece di lasciarci con l’amaro in bocca, possa riaccendere una fiammella di speranza nei nostri compagni e compagne di voto.
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