Gli ultimi, più che la complessità. L’unica via per la sinistra italiana in crisi

Per anni la sinistra si è identificata con la sola reazione alla retorica della destra. Ora è in crisi. Ma può risollevarsi, se torna al suo ruolo essenziale: la difesa degli ultimi.

A diverse settimane da un risultato elettorale deludente (benché ampiamente annunciato), per la sinistra italiana, e soprattutto per il partito che vorrebbe esserne il punto di riferimento, si è aperta la stagione, travagliata e faticosa, della riflessione sulla sconfitta, dell’autoanalisi e del dibattito sul proprio rinnovamento interno. È parte della normale dialettica democratica che chi perde riconosca, con civile sportività, il verdetto delle urne, con la volontà popolare che esprime: ed è anzi proprio in questa accettazione del risultato elettorale, anche più sgradito, che si misura il grado della maturità civica del cittadino di una democrazia. 

Tuttavia, non sarebbe né vero né giusto affermare che una sconfitta elettorale possa o debba essere accolta da chi la subisce senza comportare, al di là del riconoscimento del risultato, una messa in discussione profonda della propria identità e della propria collocazione nello spazio politico. Non è così nella vita, dove le delusioni e i fallimenti della quotidianità possono minare le nostre sicurezze e turbare nel profondo la dimestichezza che pensavamo di aver stabilito con il mondo, e non è così in politica. Ai partiti della sinistra italiana che si accingono a ripensare la propria condotta nel ruolo di forze d’opposizione, varrebbe la pena di ricordare cos’è che rende così inquietante, per ognuno di noi, l’insuccesso della propria parte politica: la percezione che in quell’esito negativo ne vada dei problemi concreti della nostra esistenza, delle nostre speranze per il futuro e delle nostre necessità del presente.

Scriveva nel 1955 Merleau-Ponty, uno dei maggiori filosofi del Novecento, che non c’è forse peccato maggiore per un politico del non soffermarsi ad «ascoltare qualcuno che parli della sua vita», poiché «c’è almeno un argomento – scrive – sul quale gli altri sono giudici sovrani: la loro sorte, la loro felicità o infelicità. Su questo punto – infatti – ognuno è infallibile» (Segni, Milano 2015, p. 349). Questo non significa che decidendo per una certa opzione di voto non ci si possa sbagliare, dando la propria preferenza a partiti che in realtà non intendono farsi carico dei nostri problemi; significa piuttosto che ogni voto, qualunque sia il suo contenuto,esprime sempre, a modo suo, una verità sulle condizioni della nostra vita che ciascuno di noi non può che conoscere meglio di chiunque altro, e che chiede di essere ascoltata.

Ora, uno dei problemi maggiori – se non il maggiore – della sinistra italiana uscita sconfitta dalle elezioni è stato proprio l’incapacità di fare dell’ascolto di questa verità il fondamento della propria proposta politica. Negli ultimi anni, chi è sembrato essere più vicino alla gente e ai suoi problemi è stata piuttosto la destra: la causa di questa percezione risiede in buona parte nelle sue modalità comunicative, nei suoi messaggi diretti (e quasi sempre mistificatori), slogan rozzi eppure efficaci perché capaci di toccare le corde più sensibili dell’elettorato e di catturarne in maniera immediata la (sempre più scarsa) capacità di attenzione. Contro la forma e i contenuti di questa comunicazione politica, la sinistra ha giustamente difeso la complessità effettiva del reale e la comprensione accurata che quest’ultimo richiede, rifiutando il linguaggio demagogico e facilone che di ogni questione, dalla cronaca nera alla politica internazionale, propone letture semplicistiche e soluzioni elementari. Un po’ alla volta, però, si è finiti a sinistra per identificare la ragione del proprio impegno nella sola pratica di questo ‘amore per la complessità’, come spesso si è sentito dire; ma è il momento ormai di chiedersi se questo mantra, ripetuto fino alla noia dall’intellighenzia progressista, non debba a questo punto essere messo in discussione.

Con ciò non si vuol negare la natura grossolana della lente con cui la destra ha letto e continua a leggere la realtà; piuttosto, si vuole ricordare l’origine storica del discorso sulla complessità, nato per reazione in uno scenario politico dominato dal populismo e dalla demagogia. Non è stato sbagliato opporre il rifiuto delle facili soluzioni e la misura nella comunicazione alla semplificazione dei problemi e all’incontrollata proliferazione di promesse e fake news. Lo è stato, invece, l’aver fatto alla lunga coincidere il proprio ruolo con quest’unica attività, come se la contrapposizione fosse tra lo schieramento di chi negava la natura complessa degli eventi e quello di chi la riconosceva, e non, come al contrario è, tra due differenti e opposte concezioni del mondo, dimenticando quasi che il riconoscimento della complessità dell’esistente non implica in alcun modo la resa rispetto alla possibilità di cambiarlo. 

Al vuoto di proposte che ne ha contraddistinto la campagna elettorale e alla sua identificazione, da parte di troppi, con la difesa dello status quo, la sinistra può reagire soltanto ritrovandosi nell’impegno fondamentale che da sempre ne struttura la visione delle cose: la difesa degli ultimi, all’interno di un ideale di azione politica fondato sull’aspirazione a una società egualitaria. Un’alternativa a questo ritorno alla propria vocazione essenziale, a ben vedere, non c’è. O meglio, c’è, ma non è altro che il persistere e l’aggravarsi della condizione attuale, in cui coloro che da sinistra dovrebbe essere difesi e rappresentati finiscono per ingrossare le file dell’astensionismo o cedere alle sirene di chi, come la destra al governo, non ha in realtà alcun interesse a tutelarli. In quest’ultimo caso si tratterebbe, certo, di un abbaglio, ma non degno di biasimo, perché fondato sull’umana inclinazione a rivolgersi a chi sembra offrire ai nostri problemi almeno un minimo di ascolto e di attenzione, com’è normale che sia quando in gioco c’è la verità – molto semplice – dei bisogni della vita e della sua dignità.

Immagine di copertina: Illustrazione di Anna Maria Stefini

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