Rapporto IPCC: dimentichiamo qualcosa?

Lunedì 20 marzo l’IPCC ha rilasciato il rapporto di sintesi sulla gravità della crisi climatica, invitando i decisori politici a ridurre le emissioni di gas serra. Ma che tipo di risposta arriva dalla politica?

«Cari amici, l’umanità poggia su ghiaccio sottile, e quel ghiaccio si sta sciogliendo in fretta». Così António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha commentato la sintesi degli ultimi rapporti rilasciati dall’IPCC, l’organo delle Nazioni Unite che si occupa di studiare i cambiamenti climatici. La scienza non lascia spazio a dubbi: bisogna ridurre le emissioni di gas serra e alcune tecnologie possono assisterci nel farlo. Il problema, adesso, sarà coniare strategie politiche ed economiche per farlo – e non sarà affatto semplice.

Frenare il riscaldamento climatico

Il report presentato da Guterres raccoglie i risultati del lavoro di tre Working Groups (Le basi fisico-scientifiche; Impatti, adattamento e vulnerabilità; Mitigazione dei cambiamenti climatici) e di tre rapporti speciali; rappresenta un compendio di numerose pubblicazioni scientifiche sugli aspetti atmosferici, fisici e sociali della crisi climatica.

Il documento appena pubblicato descrive una situazione molto grave, come era già emerso anche dal report precedente, pubblicato nel 2013. Già allora gli scienziati avvertivano dei pericoli imminenti – eventi meteorologici estremi, guerre per l’acqua, flussi migratori fuori controllo, disastri ambientali. Per mettere freno a tutto questo, bisognava limitare l’aumento della temperatura e, quindi, bisognava limitare le emissioni. «Continuando di questo passo, rischiamo di sfiorare un aumento di 6 gradi» diceva Ban Ki-Moon, l’allora segretario delle Nazioni Unite.

Guterres, tra l’altro, condivide le preoccupazioni del suo predecessore. «Le concentrazioni di anidride carbonica sono le più alte degli ultimi due milioni di anni» dice. Il tempo stringe, ma il report dell’IPCC «è una guida di sopravvivenza per l’umanità». Il messaggio lanciato da Guterres è duplice; da un lato, la situazione è grave, le temperature aumentano e gli eventi climatici estremi infuriano in diversi angoli del globo. D’altro canto, possiamo ancora evitare il peggio, mantenendo il riscaldamento al di sotto dei fatidici 1,5 gradi. Alcuni cambiamenti nei mari, negli oceani e nei ghiacciai rischiano di essere irreversibili per lunghissimo tempo, ma agendo subito possiamo mitigare l’insorgere di fenomeni estremi.
 

C’è ancora tempo?

Dal fiorire dei movimenti ambientalisti con Primavera ambientale di Rachel Carson (1962) e dai primi avvertimenti lanciati da scienziati e studiosi sul riscaldamento globale, qualcosa è cambiato. La questione dei cambiamenti climatici ha inondato, a più riprese, le strade – con le manifestazioni di Fridays For Future e poi di gruppi come Extinction Rebellion, – le pagine dei giornali e i servizi televisivi. Di ambiente e di cambiamenti climatici si parla ogni giorno di più.

I combustibili fossili, però, non sono rimasti sottoterra.

Stando allo stesso rapporto dell’IPCC, le emissioni di gas antropogenici – derivanti principalmente dall’uso dei combustibili fossili e dai processi industriali – nel 2019 hanno subito un aumento del 12% rispetto al 2010 e del 54% rispetto al 1990.

Se le nazioni terranno fede alle promesse fatte prima della COP26, agendo secondo le loro nationally determined contributions o NDCs, le emissioni prodotte saranno troppe. «Questo renderebbe probabile che il riscaldamento superi gli 1,5 gradi nel corso del ventunesimo secolo» scrivono nel report. A meno che non si agisca subito, con «una profonda riduzione delle emissioni di gas climalteranti nel corso di questo decennio». Ma non sta succedendo, e «senza un rafforzamento delle politiche, si prevede un riscaldamento di 3,2 gradi entro il 2100».

«Tutta l’elettricità deve diventare rinnovabile nel 2035. Bisogna fermare l’approvazione di ogni nuovo progetto fossile e ogni espansione delle riserve attuali. I settori più difficili (cargo, aviazione, acciaio, alluminio, cemento) devono trovare il modo di decarbonizzarsi entro il 2050» ha scritto Ferdinando Cotugno su Domani.

Servono risposte politiche

Nonostante i messaggi di speranza, l’allarme lanciato dall’IPCC si scontra ancora una volta con la complessità dei meccanismi che possono condurre all’attuazione delle soluzioni conosciute. Abbiamo a disposizione alcune soluzioni tecniche, come la proposta di rimpiazzare i combustibili fossili con l’energia pulita e di chiudere i centri cittadini alle automobili. Molte di queste sono già a nostra disposizione, ma, a causa della complessità delle forze che governano il mondo umano – le dinamiche politiche e istituzionali sono spesso tortuose –, l’implementazione dei piani per l’abbattimento delle emissioni non è affatto semplice.

Certo, come ha scritto Cristina Nadotti su La Repubblica: «Esistono misure politiche già sperimentate e collaudate che possono funzionare per ottenere riduzioni profonde delle emissioni e resilienza climatica, a patto che vengano ampliate e applicate in modo più diffuso». Ma risposte politiche di questo tipo tardano ad arrivare e, soprattutto, a propagarsi. Nonostante i movimenti degli attivisti per il clima, nonostante le parole instancabili dei segretari delle Nazioni Unite, che da oltre dieci anni lanciano appelli disperati – e nel contempo carichi di speranza – ai leader delle nazioni che più inquinano al mondo, nonostante le suppliche degli scienziati e la comparsa di nuove tecnologie, l’inversione di rotta ancora non è avvenuta.

La risposta non sta nella speranza o nella tecnologia, ma nell’abilità dei decisori politici di trovare soluzioni efficaci. Ad esempio, per limitare l’aumento delle temperature nel breve termine, sarà necessario tagliare i sussidi ai combustibili fossili e limitare la nostra dipendenza dal gas. Poi, per una soluzione a lungo termine, dovremo sottrarre l’aria che respiriamo al dominio dell’imperativo economico e del consumo. «La transizione deve coprire l’intero sistema economico» ha detto Guterres. Ma come? Non è semplice innescare un cambiamento di questo genere: la speranza è che i governi maturino nuove strategie per farlo.

Un villaggio della Groenlandia, nell’Artico, una delle zone del mondo che si sta scaldando più velocemente.

Mentre un’altra notte cala sull’emisfero boreale, i ghiacci della Groenlandia continuano la loro discesa nell’oceano. La terra diviene inospitale, gli allevatori di caribù vengono privati del loro mestiere. Altrove, in Kenya, la siccità sta sterminando il bestiame e i pastori si trovano a dover abbandonare la vita nomade. Per fermare l’inarrestabile susseguirsi di eventi come questo, non basteranno le tecnologie, ma la politica dovrà mostrarsi all’altezza del compito. Intanto, il nuovo clima si porta via brandelli di società umane, dissolte per sempre nel caldo dell’Antropocene.

Immagine di copertina: Nel corso di una manifestazione per il clima, un cartello chiede di interrompere l’utilizzo del carbone.

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