Foto in bianco e nero. Il regista Kurosawa sta seduto a gambe incrociate vicino alla macchina da presa.

23 marzo: celebrando Akira Kurosawa

Oggi, nel suo 113° compleanno, ricordiamo Akira Kurosawa, cineasta giapponese di stirpe samurai, considerato uno dei registi più influenti della storia del cinema.

Scrupoloso perfezionista, per tutta la sua carriera Kurosawa ha sperimentato diversi generi, tra i quali il cinema d’autore, film d’azione, adattamenti su grande schermo di opere letterarie e sceneggiati teatrali. Più popolare all’estero che in patria, e spesso considerato il regista più non-giapponese del suo paese, Kurosawa ha diretto in 57 anni di carriera 30 pellicole che hanno ispirato molti grandi autori, tra i quali troviamo Andrej Tarkovskij, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese e George Lucas.

Nella sua giovinezza, il giovane Kurosawa fu influenzato dai romanzi di Dostoevskij e Gorkij, dai film di John Ford, dai dipinti di Rouault e dalla musica di Schubert. Tutto ciò si trova nelle sue opere insieme ad interpretazioni memorabili delle tragedie di Shakespeare: Il trono di sangue (1957) è ispirato a Macbeth, I cattivi dormono in pace (1960) ad Amleto e Ran a Re Lear. Gli esperti di Dostoevskij hanno decretato L’idiota (1951) di Kurosawa come il miglior adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo, mentre gli studiosi di Shakespeare concordano nel sostenere che le sanguinose vicissitudini di Macbeth sono state rappresentate più vivamente nella versione cinematografica della tragedia.

Gli stessi film del regista sono stati singolarmente adattati in versioni occidentali e remakes. I sette samurai (1954) diventò il leggendario I magnifici sette (1960) di John Sturges, La sfida dei samurai ispirò gli spaghetti western Per un pugno di dollari (1964) di Sergio Leone e Django di Corbucci, e Rashomon (1950) venne adattato in Oltraggio (1964) di Martin Ritt. Inoltre, stando a ciò che dice George Lucas, una delle maggiori influenze per la creazione di Star Wars è stato il film sui samurai La fortezza nascosta (1958).

Kurosawa, con occhiali scuri, posa mostrando delle polaroid a Francis Ford Coppola, che sta scattando una foto.
Akira Kurosawa con George Lucas e Francis Ford Coppola.

La straordinaria varietà nei generi di queste trasposizioni enfatizza la profondità multidimensionale della fonte originale. Non importa che cosa filmasse Kurosawa: episodi di tumulti in epoca medievale, come in Kagemusha – l’ombra del guerriero (1980); i progressi della medicina nel Giappone del XIX secolo, come in Barbarossa (1965), o le sue famose epopee samurai; alla fine ricorreva sempre alle passioni umane, ad un’immagine tridimensionale del mondo piena di domande di senso e di verità. Akira Kurosawa modellò Shakespeare, Dostoevskij e i polizieschi americani nel suo originale genere cinematografico. Oggi, in occasione del suo compleanno, vorremmo parlarvi di tre delle opere più influenti e memorabili del regista.

Rashomon (1950)

Il film è un poliziesco con sfumature di melodramma, thriller mistico e commedia, ed è considerato un cult del cinema mondiale. In Rashomon, che ha fruttato a Kurosawa sia il Leone d’oro alla Mostra internazionale dell’arte cinematografica di Venezia che il premio Oscar come miglior film in lingua straniera, il regista esplora il concetto di giustizia, riflettendo sulle questioni filosofiche e sulle trasformazioni culturali nel mondo del dopoguerra, tormentato da conflitti politici e sociali. Rashomon non ha soltanto segnato l’inizio della fama internazionale di Kurosawa, ma del cinema giapponese in generale, che prima era destinato a un pubblico esclusivamente nazionale.

Una scena dal film Rashomon, in bianco e nero. Una donna e un uomo con abiti tradizionali giapponesi.
Un fotogramma di Rashomon.

La trama si sviluppa intorno a tre uomini che cercano riparo da un temprale al di sotto di un’antica porta, che un tempo fungeva da ingresso per la capitale degli imperatori. Due di loro hanno preso parte ad un processo che ha distrutto la loro fiducia nelle virtù umane. Da quel che ne sappiamo, un samurai è stato ucciso nella foresta, e sua moglie è stata disonorata. Tuttavia, sembra non ci sia una versione chiara dell’accaduto. Mostrandoci quattro versioni contradditorie di quello che potrebbe essere successo, il regista non solo crea uno dei migliori esempi del genere poliziesco, ma indaga anche sulla giustizia e sulla memoria modificata dal senso di colpa. Una narrazione inaffidabile mette in dubbio la natura dell’oggettività, e allo stesso tempo assicura un’alta tensione durante il film. Tutto l’impianto drammatico di Rashomon mette in risalto la soggettività della verità e la relatività dei diversi codici etici. Sebbene la storia sia ambientata nel Giappone del XI secolo, la scena riflette perfettamente l’ansia e l’incertezza che l’umanità ha vissuto nei primi anni del dopoguerra.

I Sette Samurai (1954)

La decostruzione dell’immagine idealizzata del samurai, che ebbe già inizio in Rashomon, continuò in quella che probabilmente è la più famosa delle opere di Kurosawa, I sette samurai. Con questo film Kurosawa ha voluto rivisitare l’epica dei samurai e forzare gli schemi del genere cinematografico. Non solo il regista è riuscito in questo intento, ma ha creato un genere di riferimento per gli anni a venire, ispirando diversi film di guerra e di crimine. La trama è incentrata su dei poveri agricoltori che decidono di ingaggiare sette samurai per difendere il loro paese da dei briganti che vogliono rubare il loro raccolto. I sette samurai non è tanto un film d’azione quanto una parabola sullo spirito di sacrificio, sul prezzo da pagare per riuscire in un’impresa e sulla contrapposizione tra privato e pubblico. La ricetta del film è stata riproposta in Salvate il soldato Ryan, The Expendables, Il 13° guerriero, I magnifici sette nello spazio, The Mandalorian, The Walking Dead, nelle pellicole della Marvel e in molti altri titoli.

Una scena dal film “I sette samurai”. Sei uomini in abiti tradizionali giapponesi, in un campo.
Un fotogramma dal film I sette Samurai.

Invece che usare una singola telecamera per girare tutte le scene, Kurosawa ha sperimentato le riprese con più telecamere, con diverse posizioni e angolature – questa è diventata la sua tecnica innovativa e, più tardi, anche la sua firma. Tra le altre caratteristiche riconoscibili presentate ne I magnifici sette, c’è l’uso di lenti lunghe, un montaggio intricato, la plasticità e l’abilità degli attori, il dinamismo della messinscena e il lavoro virtuoso dell’operatore di ripresa. Il finale, allo stesso tempo drammatico e gioioso, può essere considerato uno dei capolavori più profondi e cristallini di Kurosawa.

Ran (1985)

Con spettacolari scene di battaglia, intense immagini di follia e malvagità, Ran è una miscellanea di antiche leggende samurai, fatti storici reali e una stravagante interpretazione del Re Lear di Shakespeare. Il regista ha sempre apprezzato l’accuratezza nelle sue opere e voleva che sembrassero realistiche. Nel caso specifico di Ran, sono stati coinvolti nella produzione duecento cavalli addestrati, sono stati fatti a mano più di un migliaio di costumi in due anni, e appositamente costruito un castello sulle pendici del Monte Fuji, successivamente incendiato durante le riprese.

Una scena del film “Ran”. Un castello in fiamme alla base di una montagna, dei soldati con stendardi rossi e gialli, un uomo vestito di bianco.
Un fotogramma del film Ran.

All’epoca, Kurosawa aveva perso quasi completamente la vista, perciò diresse con l’aiuto di assistenti che usavano i suoi disegni come guide per capire che cosa avrebbero dovuto ottenere nelle inquadrature. Lavorò per più di dieci anni sulla sceneggiatura che considerava come la sua opera più significativa. Ran sembra davvero una storia personalissima raccontata su grande scala, il ritratto di un vecchio uomo confuso che è caduto in disgrazia ed è colmo, prima, del suo orgoglio, e poi del suo tumulto interiore e della speranza perduta.

Kurosawa è morto il 6 settembre 1998, lasciando una traccia indelebile nella storia del cinema mondiale. Quattromila tra amici e colleghi hanno reso omaggio alla sua memoria nella Stanza Dorata – la scenografia delle riprese di Ran a Yokohama. Kurosawa ebbe una vita molto intensa e visse non soltanto il trionfo mondiale e il red carpet dei festival cinematografici, ma anche i fraintendimenti del pubblico, le grandi battaglie per la libertà artistica, un tentativo di suicidio e l’esperienza di due case cinematografiche andate in bancarotta. Rimanendo sempre un grande umanista per tutta la sua vita, nonostante tutti gli ostacoli, Akira Kurosawa ha lasciato un’eredità globale eterna, grazie a pellicole che fanno da ponte tra il cinema Orientale e Occidentale.

Immagine di copertina: Akira Kurosawa sul set di Dodes’ka-den (1970)
Traduzione di: John Gussoni

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