
Il 13 ottobre è uscito nelle sale italiane Le buone stelle – Broker (2022), il nuovo film di Hirokazu Kore-eda, regista che ho avuto modo di apprezzare con Father and Son (2013), Ritratto di famiglia con tempesta (2016) e Un affare di famiglia (2018), e che mi ha colpito per la sua capacità di raccontare sempre la stessa cosa senza mai risultare ripetitivo. Come si può intuire dai titoli, ciò che lega queste pellicole è la tematica familiare. In particolare, ognuno di questi film racconta come ciò che rende un genitore degno di essere definito tale non sono né la genetica né il semplice essere in grado di provvedere economicamente alla prole, ma il genuino affetto nelle azioni quotidiane.
Le due opere che danno la rappresentazione migliore di questo tema sono Father and Son e Un affare di famiglia, premiati entrambi a Cannes rispettivamente con il Premio della Giuria e la Palma d’Oro. Il primo narra la storia di una coppia molto benestante che scopre di essere stata vittima di uno scambio di neonati e che, di conseguenza, ha cresciuto per sei anni un bambino di cui i due coniugi non sono i genitori naturali. Le due famiglie devono decidere se scambiare i figli o proseguire con la loro vita così come si è svolta fino a quel momento. Il secondo parla di un nucleo di persone di bassa estrazione sociale che convivono come se fossero una famiglia, mantenendosi con gli scarsi proventi dei loro lavori e con piccoli furti. Un’anziana signora trascurata dai figli e con un matrimonio fallito alle spalle, una giovane che lavora in un locale a luci rosse, una lavandaia e il compagno taccheggiatore, un bambino abbandonato dai genitori naturali e cresciuto come proprio figlio dal taccheggiatore. A questa famiglia ben poco convenzionale si aggiungerà un’altra bambina di cinque anni, maltrattata e abbandonata dai genitori biologici.

Entrambi questi film rappresentano perfettamente l’idea di una genitorialità fondata sugli atti. Ryota Nonomiya, il padre benestante in Father and Son, si ritrova a mettere in discussione come ha cresciuto il figlio alla luce del confronto con la famiglia che invece si è occupata del suo figlio naturale, molto più unita e affettuosa nonostante una situazione economica decisamente meno agiata. In Un affare di famiglia il nucleo “familiare” che accoglie la piccola Yuri saprà offrirle una casa di gran lunga più accogliente di quella che condivideva con i genitori naturali. Meno radicale è Ritratto di famiglia con tempesta, che, pur non tradendo la poetica dell’autore, si limita a raccontare la storia di uno scrittore fallito divorziato e incapace di ammettere il fallimento del suo matrimonio.
Al di là della qualità del comparto visivo, l’aspetto che brilla maggiormente nei film di Kore-eda è la scrittura, che mette al centro della storia i personaggi e le relazioni che intercorrono tra loro. Tutti gli eventi di vita quotidiana rappresentati sono funzionali a delineare le personalità complesse delle persone coinvolte nelle vicende narrate, mettendo in luce luci e ombre di ognuna di loro. Il grande pregio di Kore-eda è riuscire a veicolare il proprio messaggio senza scadere in facili moralismi o nel sentimentalismo spicciolo.

Broker non si discosta dai suoi predecessori, affrontando la tematica familiare attraverso il tema dell’adozione e delle problematiche ad essa legate, ma si distingue in quanto produzione sudcoreana. Al di là di considerazioni sullo sfruttamento della popolarità dei prodotti cinematografici coreani in seguito al grande successo di Parasite (2019), il cambio di ambientazione non è meramente commerciale, in quanto consente al regista di affrontare il tema partendo dall’abbandono dei bambini in baby box (più diffuse in Corea del Sud che in Giappone). Inoltre, come Parasite ha magistralmente mostrato, l’ambientazione è funzionale al racconto di tematiche sociali legate a forti diseguaglianze di reddito, presenti anche nelle pellicole precedenti.
Il film narra del viaggio di due uomini che hanno sottratto un neonato da una baby box per venderlo illegalmente a coppie abbienti che non hanno la possibilità di ricorrere alle vie legali di adozione. Alla coppia di venditori si aggiunge la madre, tornata dal bambino in preda al senso di colpa e disposta a venderlo solo dopo essersi assicurata che la coppia di acquirenti sia in grado di dare al figlio quell’amore e quella stabilità che lei non può permettersi, essendo una prostituta in fuga.

Nonostante il film avesse tutte le carte in tavola per essere un altro ottimo prodotto, tutte queste premesse si perdono in una rete di sottotrame e personaggi che impedisce all’autore di dare a tutti i protagonisti una caratterizzazione profonda. Mentre i film precedenti riuscivano ad avere una narrazione ben focalizzata e a fare sfoggio di un uso eccellente dello show don’t tell, qui la narrazione risulta molto più dispersiva e ridondante, dovendo anche ricorrere a numerosi dialoghi per spiegare il punto di vista dei personaggi. Oltre ai tre protagonisti, abbiamo la storia di due investigatrici che cercano di incastrare i trafficanti, un bambino senza speranza di adozione che si unisce al gruppo in viaggio e altre sottotrame che coinvolgono tematiche come il divorzio o l’influenza della criminalità organizzata nella vita quotidiana dei lavoratori più umili. Il risultato è un tentativo di mescolare diverse declinazioni della tematica familiare con un marcato tema sociale senza riuscire a trovare il giusto equilibrio tra di essi. Il tema dell’adozione è ripartito tra troppi personaggi, mentre quello della criminalità è trattato in modo troppo superficiale.
In poche parole, Broker non è un film privo di qualità, soprattutto dal punto di vista visivo, ma non riesce a dimostrare il reale valore di Kure-eda, risultando in un’inadeguata introduzione all’opera del regista, per chi non lo conoscesse, e una probabile delusione per coloro che già lo apprezzano.
Immagine di copertina: Frame del film Le buone stelle – Broker.