
Nessuna bella storia inizia in maniera lineare. La nostra, ad esempio, comincia durante l’epilogo di una bella serata, oltre i confini della circonvallazione Milanese.
Mi trovavo, in quel periodo, in un’abitazione situata all’interno di un complesso abitativo piuttosto grigio, composto da una serie di alloggi singolari dalla taglia modesta, intervallati da qualche stradina sottile, dove leggenda narra vivano creativi di ogni genere: musicisti, artisti, pittori, comunicatori.
Una concomitanza di eventi, iniziati verso le 7 di sera e prolungati fino a tarda notte, fecero sì che il mio sguardo ad un certo punto trovasse davanti a sé un salotto, un soppalco, un tavolo e una situazione permeata dal caos, come solo le calme calde serate estive in compagnia di amici sanno essere.
Per assoluta contingenza, ad un tratto comparve alla mia sinistra un ragazzo, sorridente e sbarazzino, che per qualche ragione decise di raccontarmi il suo futuro.
Da qui inizia la nostra storia.
Il ragazzo in questione si chiama Giulio, fa il musicista e ha in mente un progetto che in quel momento prevede lui come unico membro attivo e presente.
Mi descrive il tutto, compreso di piani, idee e aneddoti.
Venga messo agli atti, vostro onore, che se un dattilografo, in una qualunque aula di tribunale, avesse trascritto quel discorso, non ne avrebbe ricavato null’altro che l’ennesima confessione dell’ennesimo musicista che racconta al primo mal capitato in serata ciò che gli frulla per la testa.
Eppure, perché ci ho pensato tutta sera?
Il caso volle che non vidi quel ragazzo per più di un anno, fino a quando, il 1 Dicembre 2022, vengo a sapere che presenta il suo primo singolo. Questa volta non è più solo, ma fa parte di una band: i Barkee Bay.
Non ci penso due volte, del resto, sono un inguaribile curioso.
Prendo la macchina, mi faccio un quarto d’ora a piedi in compagnia di un amico, svolto l’angolo della strada precedente a quella del locale e mi trovo di fronte ad almeno una cinquantina di persone radunate per l’occasione, senza contare il resto, che si trova all’interno per festeggiare l’uscita del primo singolo.
Passino gli amici, passino gli amici degli amici, ma chiunque abbia suonato almeno una volta in pubblico nella propria vita sa quanto sia difficile radunare tutta quella gente per un live, figuriamoci per un pezzo che manco è uscito.
Una situazione analoga accade un paio di settimane più tardi per il primo live che festeggia l’uscita dell’EP, soltanto che questa volta le persone sono tante a tal punto da non riuscire ad entrare per sentire il gruppo suonare. Io stesso mi sono ritrovato in coda, circondato da gruppetti di ragazzi che riflettevano su quale storia raccontare agli organizzatori della serata per poter riuscire ad entrare e partecipare all’evento. Doveva essere qualcosa di speciale.
Mi sono interrogato per ore al fine di capire dove stesse il trucco, ed è bastato guardarmi attorno dopo il concerto e osservare le persone muoversi, parlare e respirare per scoprirlo.
Mi è bastato quello, per comprendere la piccola e semplice formula magica che si cela ai miei occhi distratti sin dall’inizio di questa storia, ed è così e semplice e scontata che mi viene da ridere mentre scrivo, ripensando a quel momento e a quando li ho incontrati il giorno seguente.
Questa magia, deve la propria manifestazione al fatto che i Barkee Bay sono un generatore umano di good vibes.
Creano calore, casino, felicità, spensieratezza, il tutto servito su un piatto a base di realness.
Come suonano? Bene, ma vi assicuro che non è questo il punto stavolta.
I loro pezzi permettono di vivere i loro racconti perché cantano delle piccole cose di cui tutti troppo spesso si riempiono la bocca senza prestarci attenzione; invitano il pubblico a cantare con loro e sembrano comunicare “anche tu le hai vissute, cosa aspetti! Gridale e lascia che l’effetto catartico faccia il suo liberatorio corso!”.
Ho avuto l’occasione di sedermi a un tavolo con loro il giorno dopo il concerto, ordinarmi un ottimo americano e fare una bella chiacchierata sulla loro storia, le loro ispirazioni e i pensieri che li attraversano riguardo alla musica e alla scena musicale italiana.
È una conversazione composta da tanti piccoli elementi eterogenei, e non nego che ho dovuto tagliare per intero dei blocchi perché unicamente composti da battute e risate; Si, in compagnia di Giulio, Gabriele e Davide si sta davvero bene, un po’ come con la loro musica, insomma.
È con grande piacere che torno qui, sugli schermi di Echo Raffiche, con i primi ospiti dopo svariati mesi.
Signori e signore, vi presento un trio destinato a far cantare l’Italia: i Barkee Bay.

Ciao ragazzi! grazie di essere qui. Che ne dite di raccontarmi la vostra storia?
G: Ciao! Tutto è iniziato dopo il periodo Salamantra (un precedente duo, formato da Giulio e Tommaso Mortarino, ndr).
A quel tempo iniziavo a sentire una nuova estetica dentro di me, e complice il periodo di lockdown ho avvertito la necessità di un progetto a parte per esprimerla.
In quel periodo di transizione, durato all’incirca un anno, stavo scrivendo una serie di pezzi chitarra e voce, e non sapevo ancora chi sarebbero state le persone con cui avrei condiviso la musica in futuro.
Una mattina, dopo aver fatto serata assieme a Milano, ho conosciuto meglio Gabri (Gabriele, chitarrista del gruppo) grazie a un ritorno assieme verso Brescia. Ci siamo resi conto di avere una buona affinità in termini di gusti, ed è la prima persona alla quale ho pensato nel momento in cui ho iniziato a riflettere realisticamente sulla nuova estetica.
A quel punto sentivamo la necessità di un terzo che si occupasse delle produzioni, abbiamo fatto varie prove, ma rimanevo convinto che la persona giusta fosse Tarra (Davide, producer del gruppo) che però in quel momento viveva a Dublino.
Qualche tempo dopo Davide è tornato a Brescia e abbiamo avuto occasione di provare per circa un mese tutti e tre assieme, rendendoci conto che i componenti erano finalmente tutti al posto giusto.
D: In quel periodo abbiamo lavorato a due pezzi, che poi sono diventati Make some noise e Shinigami.
G: abbiamo dovuto rodare un po’ all’inizio, veniamo da background diversi e inserire un producer in pezzi scritti e pensati come chitarra e voce ha richiesto del tempo, però poi è andata piuttosto bene.
È stato in quel momento quindi che è nato il sound Barkee Bay?
D: Non lo so, forse la chiave è stata Volterra. Quello è stato il momento in cui abbiamo legato di più musicalmente.
Volterra? Spiegate
D: Il nostro manager, Alessandro Broglia, ha organizzato con la sua etichetta, Grooviglio, un writing camp a Volterra. Il tutto si svolgeva in un casale in mezzo alle colline toscane, dove era stato allestito uno studio.
G: lì abbiamo trovato il nostro metodo di lavoro.

Voi siete usciti con un EP di quattro pezzi, ma durante il vostro live al Carmen Town, il vostro primo concerto ufficiale, ne avete suonati dieci. Da dove arrivano gli altri?
G: Siamo usciti con questi quattro pezzi quando eravamo sicuri fossero pronti, ma ne abbiamo sempre molti in lavorazione. Quelli che abbiamo portato al Carmen oltre all’EP sono tutti pezzi in dirittura d’arrivo. Stiamo lavorando molto anche alle nuove canzoni oltre che ai live, continuiamo a produrne di nuove, anche perché vogliamo delineare bene il nostro sound. Ci piacciono le cose un po’ sporche senza però eccedere, anche perché come dicevamo prima devono esserci un po’ tutte le nostre sfumature, che sono eterogenee.
C’è una pratica, a mio avviso molto bella, che unisce i live musicali a quelli di stand up comedy, filone che sta spopolando di recente. Spesso in entrambi i casi, si tende a portare dal vivo i pezzi in cantiere per vedere come reagisce il pubblico, per poi valutarne alcuni passaggi. Come ha reagito il vostro pubblico ai pezzi?
G: Sì c’è stata una differenza di risposta, anche perché non siamo mai stati gelosi dei nostri pezzi, prima di pubblicarli. Già all’uscita alcuni erano su Soundcloud dove comunque le persone se li erano ascoltati parecchio.
D: Senza contare i nostri amici che magari, se pur involontariamente, li hanno ascoltati in continuazione mentre ci lavoravamo, sentendoli dalle casse o per assurdo anche dalle mie cuffie mentre ci lavoravo [ride].
G: Una cosa che mi ha stupito ma che al contempo mi ha fatto molto piacere è che in molti mi hanno detto di aver amato i pezzi da disco, ma ancor di più sentendoli live. Per noi è il risultato più bello, anche perché spesso e volentieri nella scena odierna succede un po’ il contrario.
Non mi stupisce che la gente si sia divertita così tanto live, la prima volta che ho ascoltato l’EP ho pensato “non vedo l’ora di impararmi un po’ meglio i pezzi per poi cantarmi il disco in macchina”.
Voi siete riusciti a centrare uno degli obiettivi per me più importanti delle canzoni pop: la cantabilità delle canzoni.
G: Sì, è una cosa alla quale teniamo molto, ma non siamo ancora soddisfatti del tutto. Non vogliamo adagiarci visto che siamo tutt’ora in fase di scrittura [ride].
Se questo è il mindset, vi auguro per i nuovi pezzi ritornelli cantabili quanto i pezzi di Calcutta!
G: Io sono super fan infatti! Lui è riuscito in pieno in quella cosa lì, infatti non vorrei spararla… ma secondo me è uno di quelli che rimarrà. Poi la sua forza sta secondo me anche nel contrasto del personaggio: arriva tutto un po’ arruffato, quasi scazzato, e all’improvviso se ne esce con questa voce totalmente diversa da come te la aspetteresti. Mi ha sempre affascinato, forse ancora di più nel momento pre-fama, quello del video su Bunker tv, per intenderci. Quel video me lo sono visto davvero molte volte [ride].
Come vedete la scena musicale italiana in questo momento?
D: Io principalmente ascolto musica prodotta al di fuori dell’Italia, però devo dire che mi piace questa nuova piega che sta prendendo la musica nel nostro paese, ad esempio con Blanco. Mi pare che ci si stia positivamente un po’ allontanando dai canoni precedenti, indie compreso, altro genere che vedo cambiare.
G: Si forse il fatto è che la musica italiana ultimamente era divisa un po’ in due: un lato c’era la scena trap, con il suo seguito, e poi la classica musica italiana, che stava prendendo una piega forse un po’ melensa. Con Blanco la cosa è un po’ cambiata, ha portato un po’ di fotta, un po’ di sangue con il suo sound.
Gabri: Secondo me però non abbastanza. Si è un po’ appoggiato a livello di sound. Penso che forse la vera svolta ci sia stata con Calcutta, Frah (Quintale) e gli altri. Lì si era smosso qualcosa. Penso servirebbe ancora una situazione simile ora.
Sembrerebbe che Blanco più che creare una nuova wave abbia principalmente creato Blanco.
Gabri: Esatto gioca la sua partita, è abbastanza unico. Però penso in ogni caso che rispetto a 15 anni fa, ad esempio, la scena italiana sia molto migliorata.
C’è un po’ di scena urban che sta nascendo ultimamente che a me piace parecchio, tipo Bnkr 44, Thru Collected, a livello di produzione mi sono piaciute un sacco.
D: Secondo me l’Italia ha proprio il suo stile rispetto al resto del mondo. Guardo alle produzioni ad esempio: Charlie Charles (famoso producer italiano, ndr). compone delle prod che magari non suonano benissimo, ma le melodie sono davvero molto belle.
G: Forse è per lo spazio che qui riserviamo alla voce.
Gabri: Si, in america e in UK le produzioni sono molto più grosse, ad esempio. Probabilmente è legato anche alla tradizione e alla cultura del posto.
G: Una cosa che a me dispiace sempre molto è che qui importiamo sempre molto ma esportiamo troppo poco.
Uno che forse potrebbe farsi largo con il suo mondo è Fulminacci, che ultimamente sta lavorando molto bene
G: Esatto! Lui, secondo me, è uno di quelli che potrebbe esportare. Con Fulminacci senti la vena romana, ma strizza sempre un po’ l’occhio alla tradizione musicale italiana. Mi piacerebbe esportasse, sinceramente.

Artisti che ascoltate e che consigliereste?
D: Io sono molto fan dell’Hyperpop. Mi riferisco ad esempio a tutto il movimento di PC Music, con A.G. Cook e gli altri. Ultimamente poi sto ascoltando tanto anche la Garage inglese e Elettrofunk. Vario anche un po’ sul pop ogni tanto… HAIM e Taylor Swift ad esempio mi piacciono molto recentemente.
Gabri: Negli ultimi anni mi sono appassionato molto a King Krule.
In termini assoluti Radiohead e Joy Division sono sicuramente tra i miei preferiti di sempre. Poi comunque in genere tutto ciò che sia Indie e Trip Hop. Tim/kim krool? Tyler, the creator anche.
Rimandendo in Italia invece la mia band preferita sono i Verdena.
G: The Strokes, Mac deMarco, Club Dogo, Smashing Pumpkins, Lil Peep sono sicuramente gli artisti che ho ascoltato di più.
Ringrazio molto i Barkee Bay per essere stati con me in questa occasione, certo che ce ne saranno altre in futuro. Noi, se volete, ci vediamo sotto palco a cantare SHOEFITI, il loro primo EP.
Immagine di copertina: Photo Credits: Lorenzo Belli e Silvio Deiaco