
Le cucine collaborative svolgono un ruolo fondamentale nel nutrire le connessioni sociali all’interno delle comunità cittadine. Ormai nelle grandi città, ma non solo, è normale non conoscere i propri vicini o chi abita nello stesso quartiere. Il disagio urbano è anche questo. Il logoramento delle interazioni sociali, vite frenetiche, la mancanza di luoghi di ritrovo spesso generano l’isolamento di alcune persone.
In risposta a questo disagio, che si è fatto ancora più evidente durante i periodi di isolamento durante la crisi da Covid-19, questi spazi condivisi offrono l’opportunità di incontrarsi, interagire e costruire relazioni significative. Che si tratti di un workshop di cucina, di un pasto comunitario o di un evento culinario, le cucine collaborative forniscono un punto di incontro per persone di background e appartenenze differenti per connettersi e creare nuovi legami. Promuovono un senso di appartenenza e spirito di comunità, facendo sentire le persone meno sole e più legate al quartiere.
Nel contesto più ampio di un’economia sociale e sostenibile, le cucine collaborative si distinguono per il ruolo significativo nella riduzione dello spreco alimentare e della promozione di una cucina vegetale. Facilitano l’utilizzo efficiente degli ingredienti e incoraggiano pratiche di cottura responsabili per ridurre gli sprechi e incoraggiare una cucina sana. Ad esempio, la spesa può essere fatta recuperando ingredienti dagli scarti invenduti dei supermercati e i rifiuti vegetali vengono riutilizzati come compost. Inoltre, questi spazi condivisi spesso enfatizzano l’uso di ingredienti locali e di stagione, promuovendo la sostenibilità e minimizzando l’impatto ambientale associato alla produzione e al trasporto alimentare.

Credits:Thibault Gallet
KOM à la maison, situato a Bruxelles, in Belgio, rappresenta un brillante esempio di una cucina collaborativa di successo nel cuore della città europea. L’idea nasce nel 2020 in piena emergenza Covid-19 come reazione alla solitudine generata dalle misure di contenimento, i lockdowns e la distanza sociale. KOM serve come punto di incontro per gli abitanti del quartiere, per cucinare insieme, scambiare due chiacchiere e uscire dalla solitudine. Ognuno può contribuire come preferisce. C’è chi cucina, chi apparecchia la tavola e chi rimane a pulire una volta finito di mangiare. I pasti sono rigorosamente vegetariani e i prodotti vengono acquistati al mercato locale o recuperando avanzi invenduti dai supermercati. Il risultato? Uno spazio sociale e inclusivo che permette ai cittadini di mangiare un pasto sostenibile in compagnia, incontrare persone nuove e combattere l’isolamento urbano.
Negli ultimi anni sono nati progetti simili, uniti nell’ambizione di dare uno spazio sociale ai cittadini e ricostruire legami tra vicini di casa. Oltre a KOM à la maison, in Francia emerge l’esempio di Les Petites Cantines a Lione oppure in Germania ha preso piede il concetto di mense comunitarie, Volksküche. Le cucine collaborative non sono quindi solamente semplici spazi per cucinare; sono catalizzatori per la creazione di comunità vivaci, inclusive e sostenibili. Questi spazi condivisi promuovono le connessioni sociali, consentono lo scambio di conoscenze culinarie e contribuiscono alla riduzione dello spreco alimentare. E in Italia? Un esempio simile si trova nella periferia di Milano: Made in Corvetto. Il progetto punta a far tornare in auge i mercati coperti, spazi pubblici per eccellenza dove le persone possono incontrarsi, fruire di servizi e partecipare ad attività culturali, aggregative, formative, orientate al lavoro e alla cittadinanza attiva.
Immagine di copertina: Les Petites Cantines è uno degli esempi più riusciti di cucina collaborativa in Francia, presente in otto città. Credits: Les Petites Cantines