I mammut furono vittime dell’Antropocene?

Gli esseri umani potrebbero aver contribuito alla scomparsa dei mammut. Il dibattito su questa questione è molto acceso e ci porta a riflettere sul rapporto fra uomo e natura.

In seno alla comunità dei paleontologi è nata una discussione sull’estinzione dei mammut. Secondo alcuni la responsabilità è dell’essere umano, mentre altri incolpano un improvviso mutamento del clima.

A sostenere la prima tesi, lo scorso ottobre alcuni ricercatori di Adelaide hanno pubblicato uno studio su Ecology Letters. Ritengono che sia stato l’uomo ad avere l’impatto maggiore sulla scomparsa dei pachidermi, a causa della caccia e della distruzione degli habitat.

La seconda ipotesi, invece, compare in un articolo uscito su Nature nello stesso mese. Studiosi di Cambridge e Copenaghen hanno ricostruito le ultime ore di vita di alcuni mammut. A uccidere i grossi animali sarebbe stata la formazione di paludi, dovuta ai cambiamenti ambientali.

Per gettare luce su questo dilemma, ho intervistato il paleontologo Raffaele Sardella, professore associato alla Sapienza di Roma, dove dirige anche il Museo di Scienze della Terra.

In letteratura vi sono molti studi sull’estinzione dei mammut. C’è chi la imputa all’uomo e chi incolpa i cambiamenti del clima. Le due ipotesi vanno considerate separate o sono compatibili?

Una risposta chiara non c’è. Certamente l’ultima glaciazione aveva impoverito molto gli ecosistemi, mettendoli sotto stress. In aggiunta, i mammut abitavano zone come la Beringia, in cui c’era anche Homo sapiens. Ma più che un impatto diretto, come quello dovuto alla caccia, l’uomo ha avuto un ruolo importante nell’inibire la “ricarica del sistema” dopo la crisi della grande glaciazione. È stato un elemento di disturbo: ha impoverito la biodiversità e fatto saltare alcuni meccanismi naturali. L’idea, quindi, è che l’estinzione dei mammut sia avvenuta per una combinazione di fattori diversi.

Durante le glaciazioni qui emergeva un ponte di terra, la Beringia.
Lo stretto di Bering separa Alaska e Siberia. Durante le glaciazioni qui emergeva un ponte di terra, la Beringia.
Credits: NASA

Come possono i cambiamenti climatici causare l’estinzione di una specie?

Il Quaternario, il periodo geologico iniziato più di 2 milioni di anni fa, è stato caratterizzato da oscillazioni climatiche, date da fasi glaciali alternate a interglaciali. Questi cambiamenti comportano una modifica della vegetazione, influenzando soprattutto gli erbivori, che devono spostarsi nei territori con la vegetazione di cui si nutrono. Alla fine, prevalgono gli animali più adatti e si ha la nascita di una nuova specie, mentre gli altri si estinguono. Questo riequilibrio avviene in maniera relativamente rapida dal punto di vista geologico.

Il problema lo creano i cambiamenti climatici odierni, quelli indotti dall’uomo – lo stesso fenomeno che è stato battezzato “Antropocene”. L’uomo accelera le variazioni del clima, così il sistema non ha modo di recuperare e le specie non fanno in tempo a adattarsi, anche quando potrebbero riuscirci se avessero più tempo. Del resto, la sesta estinzione di massa in cui ci troviamo non è legata solo ai cambiamenti climatici, ma anche a quelli ambientali, come il disboscamento e la costruzione di strade. Questi interventi interferiscono con gli ecosistemi e anche piccole variazioni hanno effetti significativi: quando si deve abbattere una palazzina, basta far saltare un pilastro per far venire giù tutta la struttura. Così, in natura, colpendo certi anelli delle catene alimentari collassa l’intero ecosistema.

C’è molto dibattito intorno all’uso della parola “antropocene”.

Effettivamente è un termine controverso. Funziona bene mediaticamente ed è stato costruito anche per questo, perché richiama la terminologia geologica corretta di parole come “Pleistocene”. Ma è difficile definire una cosa mentre sta avvenendo, quando ci si è dentro. Si devono porre dei limiti: qual è l’evento che fa partire l’Antropocene? Possono essercene tanti: la scoperta delle Americhe, come inizio della globalizzazione e della diffusione planetaria di semi e animali; la bomba atomica, che ha immesso nel suolo quantità massicce di radioattività; l’inizio dell’inquinamento da carbone.

Io stesso sono combattuto, perché il termine ha dei limiti dal punto di vista formale, ma funziona e serve a porre l’attenzione sull’impatto dell’uomo.

Si dice che siamo in mezzo alla sesta estinzione di massa, ma quali sono i fattori che portano una specie a scomparire per sempre?

Un buon esempio è dato dai rinoceronti, di cui si è molto parlato recentemente. Un tempo ve n’erano cinque specie o sottospecie. Poi si è scesi sotto un certo numero di individui, perché gli altri sono morti, uccisi o perché l’habitat sfavorevole mancava di risorse alimentari, favorendo malattie, denutrizione e mortalità infantile. Quando rimangono solo pochi esemplari, viene a mancare la variabilità genetica, senza la quale gli animali sono vulnerabili alle malattie e poco adatti ai cambiamenti.

La sottospecie settentrionale di questo animale è prossima all'estinzione.
Un rinoceronte bianco in cattività. La sottospecie settentrionale di questo animale è prossima all'estinzione.
Credits: VistaCreate

Oggi noi cerchiamo, con la tecnologia, di farli riprodurre, ma è una forzatura. In natura questi animali non trovano partner, oppure si estinguono per la poca variabilità. Non bisogna provare a salvare l’individuo, ma la popolazione col suo pool genetico, la sua diversità interna, che fa sì che alcuni si adattino ai cambiamenti e altri no.

Alcuni progetti vorrebbero riportare in vita i mammut, utilizzando il DNA delle carcasse che vengono alla luce quando si scioglie il permafrost. Si pensa, ad esempio, di usare gli elefanti come serbatoi per clonare i mammut. Anche se questi esperimenti incontreranno diverse difficoltà, non dubito che verranno portati a termine. La questione è più che altro etica e filosofica: queste idee sono certamente interessanti dal punto di vista culturale, sono provocazioni utili come l’antropocene, ma dobbiamo chiederci che senso abbia portare artificialmente in vita gli animali e inserirli nell’ecosistema. Il problema è che si rischia di fare ulteriori danni, mentre bisognerebbe fare i conti con la storia ed evitare di fare altri guai. Basta pensare a Jurassic Park.

Immagine di copertina: un gruppo di mammut cammina in fila sotto lo sguardo di un ominide armato.

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