La crisi dei “venditori di sogni” nell’età della disillusione

Negli anni ’90, in Italia, si susseguirono tre fenomeni che ebbero un grosso impatto sull’immaginario collettivo e sui suoi meccanismi di proiezione e identificazione:, tutto ciò sarebbe ancora possibile al giorno d’oggi o l’occidentale è ormai “vaccinato”?

Consideriamo un dato certo. Dai primi anni del ‘900, nel mondo occidentale, con l’affermazione della “società di massa”, è nata la relativa cultura, che ha fatto ampio uso di tutti gli strumenti che il progresso tecnologico ha messo a sua disposizione: la televisione, la radio e il cinema. Il cambiamento è stato dirompente: la cultura, prima appannaggio di ristretti circoli di intellettuali, è diventata patrimonio di molte più persone e gli uomini di cultura sono stati costretti, loro malgrado, a diventar parte di qualcosa che non sentivano come “loro”; è nato il fenomeno del divismo, soprattutto negli Stati Uniti, e più in generale  tutta l’industria dell’intrattenimento, grazie soprattutto alla riduzione dell’orario di lavoro e al sorgere del concetto del “tempo libero”. La cultura ha poi iniziato a risentire ampiamente dei tempi che correvano: più, infatti, i tempi erano felici, maggiormente “ottimisti” erano i prodotti culturali, e così valeva anche all’opposto. 

Identificazione e proiezione. Edgar Morin, socio-politologo francese, nel 1962 scrisse il saggio intitolato “Lo spirito del tempo”, in cui si occupò di analizzare la sopracitata “cultura per il popolo” e i suoi relativi prodotti. Nell’analisi di questi ultimi, introdusse i concetti di identificazione e proiezione: la prima, secondo Morin, avveniva con le virtù che lui chiamava “femminili”, come l’amore, la bontà e la felicità; mentre la seconda, all’opposto, con quelle che lui considerava “maschili” come l’aggressività, la violenza e l’avventura. Risulta subito chiaro il motivo della distinzione tra le due: con le prime, infatti, l’uomo “massa” si può identificare senza alcun problema, facendo comunemente parte del suo vissuto; con le seconde invece, essendo costretto dalle leggi della comunità a “tarpare” i propri istinti, non gli resta che proiettarle sullo schermo, nell’eterno conflitto, citando Hegel, tra “libertà e crimine”. 

Nel Mulino che vorrei. Anche la cultura di massa italiana fa ampio uso dei meccanismi sopra citati. Ad inizio degli anni ’90 ad esempio la Barilla, proprietaria del marchio “Mulino Bianco”, iniziò a produrre spot ambientati nel “Mulino delle Pile” sul fiume Merse in Toscana. Protagonisti di questi cortometraggi erano i componenti di un’ideale famiglia italiana, intenti, in un’atmosfera bucolica e serena, a presentare volta per volta i nuovi prodotti da forno dell’azienda. Le scene erano girate in un luogo sospeso, senza tempo, e mettevano in scena virtù talmente stereotipate da risultare grottesche, tanto che dopo pochi anni l’espressione “famiglia del Mulino Bianco” passò ad avere un significato sarcastico e certamente lontano dall’originale: nessuno, infatti, sentiva a sé vicina la stucchevole bontà messa in scena. 

mulino bianco
Il mulino delle Pile

Vendere un sogno. La famiglia del Mulino Bianco non è però il solo miraggio di quegli anni: sul grande schermo nel 1990 esce infatti in Italia Pretty Woman, forse la miglior resa in assoluto del “lieto fine” tanto caro alla Disney. La vicenda del miliardario affascinante e potente che ingaggia una prostituta come accompagnatrice, se ne innamora, sembrano lasciarsi ma poi si riuniscono con la voce fuori campo che commenta “questa è Hollywood, continuate a sognare”, è del tutto inverosimile, tanto che la versione originale sarebbe dovuta essere drammatica, con la signora scaricata per strada come merce di poco valore. Tuttavia venne scelto il lieto fine, per la fortuna dei due protagonisti Richard Gere e Julia Roberts, e la pellicola è ancora oggi un film cult, punto cardine dell’immaginario sentimentale. È chiaro in questo caso l’intreccio tra proiezione ed identificazione: se infatti avessero scelto il finale drammatico, è probabile che il miliardario Edward avrebbe acquisito ancora più carisma agli occhi del pubblico maschile, come proiezione di istinti ferali ben insiti nell’essere umano. Avendo invece optato per il lieto fine, ad essere “premiato” è stato il pubblico femminile, che ha potuto identificarsi nel sogno di milioni di donne di essere ricambiate da un uomo affascinante, carismatico e ricco. 

I protagonisti del film Pretty Woman, Edward e Vivian.

La discesa in campo. A distanza di pochi anni, più precisamente il 26 gennaio del 1994, debutta sulla scena politica italiana post Tangentopoli un imprenditore della Brianza, che promette un nuovo “miracolo italiano” simile a quello post-secondo conflitto mondiale. Il suo nome è Silvio Berlusconi, e la sua storia è patrimonio recente: quattro volte presidente del Consiglio, il contratto con gli Italiani, un milione di posti di lavoro, meno tasse per tutti, il Ponte sullo Stretto. Berlusconi negli anni ’90 rappresentava il prototipo del vincente per definizione: con il Milan aveva vinto tutto, le sue televisioni andavano a pieno regime, i suoi quartieri residenziali venivano descritti come un’eccellenza invidiata in tutta Europa. Era facile, dunque, soprattutto per gli uomini, proiettare le proprie ambizioni su colui che “ce l’aveva fatta” e la storia recente, con un anziano signore di ottantasei anni che, nonostante processi, scandali, leggi ad personam e sentenze continua a fare politica e a mantenere il suo “zoccolo duro” di elettorato, continua a confermare il mito meglio di qualunque altra cosa.

Berlusconi 1994 discesa in campo Forza Italia
La discesa in campo.

Siamo vaccinati? Torniamo allora alla domanda di cui sopra: siamo vaccinati ai sogni? Dati i tempi, sembra di sì. Sicuramente un prodotto culturale “di massa” come Pretty Woman, nel 2022, passerebbe decisamente inosservato o peggio come il classico” filmetto” per adolescenti sognatrici. Altrettanto con certezza la campagna elettorale italiana, con il probabile trionfo di Giorgia Meloni che cerca di accreditarsi a tutti i costi come quella “responsabile”, mentre i suoi alleati, Berlusconi e Salvini, continuano a promettere ciò che non hanno fatto nelle occasioni in cui sono stati al governo, dimostra come forse sia finita la stagione dei venditori “di sogni”. Tuttavia veniamo da anni duri e il futuro si prospetta fosco: è probabile che la nuova “età del realismo” sia dovuta a questo. Chi sta “sopra” le masse deve adeguarsi al loro “spirito del tempo”, altrimenti da chi vengono legittimati?

Immagine di copertina: La famiglia dei sogni. Illustrazione di Anna Maria Stefini. 

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