
L‘Unione Europea sta senza dubbio affrontando la crisi climatica; questa è, di partenza, un’ottima notizia. Eppure, esistono ragioni per credere che non stia facendo abbastanza. In effetti, l’UE sta – forse intenzionalmente – sminuendo una delle maggiori minacce per l’ambiente: gli allevamenti.
Ignorare uno dei più grandi focolai della crisi climatica non è un problema esclusivo dell’UE. Ma, in quanto grande economia e ‘fiamma del progresso’, stupisce particolarmente quanto parziali, se non addirittura contradditorie, le politiche per la transizione ecologica europee possano svilupparsi.
Una generazione consapevole
Il 15 settembre dello scorso 2021, Ursula von der Leyen ha tenuto l’annuale Discorso sullo stato dell’Unione. Come ogni buon Presidente della Commissione, ha utilizzato molte frasi accorate e di ampio respiro, spendendosi in favore delle nuove generazioni: «Questa è una generazione consapevole. Ci spinge a fare di più e più in fretta per far fronte alla crisi climatica».
La generazione a cui fa riferimento, è facile presumere, è quella degli innumerevoli ragazzi e studenti di tutto il mondo, scesi in piazza a sensibilizzare riguardo ai pericoli del cambiamento climatico. Grazie alle loro voci, la politica e le aziende hanno riformulato le proprie strategie climatiche e la propria immagine pubblica – se poi questo sia stato fatto per reputazione o profitto, è tutto un altro discorso –.
Il complesso piano della Commissione per far fronte alla crisi climatica è riassunto nel Green Deal europeo. Sono trascorsi più di due anni da quando la strategia è stata presentata per la prima volta l’11 dicembre 2019.
Un Green Deal europeo: panacea di tutti i mali?
Uno degli obiettivi principali del Green Deal è quello di raggiungere la cifra di zero emissioni nette di gas serra entro il 2050. Questo è il punto a cui si è spinta la ‘generazione consapevole’. Le speranze erano però ben altre: l’UE affronterà quel fattore di cui, d’altronde, nessuno vuole sentire parlare, ovverosia l’impatto del nostro consumo di carne sulle emissioni?
A parte i tanti termini burocratici come European Climate Law o Zero Pollution Action Plan, la bella allitterazione Farm to Fork Strategy al centro del Green Deal europeo sembrava particolarmente promettente. Che forse contenesse un invito ai cittadini a ridurre il proprio consumo di carne?
A una disamina attenta, pare proprio di no. Questo documento prevede la riduzione dei pesticidi in agricoltura e della vendita di antimicrobici per gli animali d’allevamento, oltre alla lotta all’impoverimento del terreno. La Commissione prevede inoltre di promuovere lo sviluppo delle zone destinate all’agricoltura biologica dell’UE. Ma, a parte ciò, la Commissione non affronta l’elefante nella stanza, ignorando quanto l’allevamento sia un terribile killer per il clima.

UE: cecità di fronte ai pericoli dell’agricoltura animale
Per meglio renderci conto dell’impatto climatico relativo all’allevamento: la foresta pluviale viene bonificata per fare spazio al pascolo o alla coltivazione di mangimi per animali, come la soia. A dispetto dell’accusa mossa ai vegani di essere grandi ‘consumatori di soia’, secondo il WWF quasi l’80% del raccolto mondiale viene destinato al bestiame, in particolare per la produzione di carne di manzo e pollo, uova e latticini.
La produzione della carne e di altri prodotti animali richiede un’enorme quantità di acqua per le sue varie fasi: per 1 kg di carne, vengono di media utilizzati 15.000 litri di acqua. Inoltre, l’eccessiva fertilizzazione dei terreni agricoli, così come l’uso di pesticidi e medicinali, portano all’inquinamento delle risorse idriche. A ciò, vanno aggiunte le emissioni di metano prodotte dagli animali d’allevamento stessi.
Un’analisi di Greenpeace del settembre 2020 ha rilevato come le emissioni di gas serra degli allevamenti di animali nell’UE rappresentino il 17% delle emissioni totali dell’Unione, provocando più danni al clima dell’utilizzo di tutte le auto e i furgoni messi insieme. L’analisi ha anche rilevato come le emissioni annuali degli allevamenti siano aumentate del 6% tra il 2007 e il 2018. Per rendere l’idea, l’aumento – pari a 39 milioni di tonnellate di CO2 – equivarrebbe ad aggiungere 8,4 milioni di auto sulle strade europee.
Numeri e statistiche di questo genere non sono difficili da trovare né da interpretare: l’argomento è stato trattato a lungo, e in abbondanza. Oltre ai media e a programmi di ricerca tradizionali, vari documentari hanno contribuito alla sensibilizzazione sull’argomento, come la produzione di Netflix Cowspiracy. Dobbiamo quindi presumere che la cecità europea non sia dovuta ad una mancanza di conoscenza, quanto a un’ignoranza volontaria e consapevole.
La Farm to Fork Strategy è ingannevole
Perché l’UE ignora queste scomode verità? È ingenuo e pericoloso credere che ciò abbia a che fare con un grande complotto: si tratta, piuttosto, di semplice convenienza politica. Dopotutto, è più facile convincere le persone che basti evitare la plastica superflua o prendere l’autobus, per combattere l’emergenza climatica. Affrontare l’argomento dell’impatto ambientale legato al proprio consumo alimentare è materia sensibile e pericolosa; e in un’ottica politica puramente cinica, l’UE non può permettersi ulteriori moti euroscettici.
Banalizzare e sminuire uno dei più grandi pericoli climatici odierni come l’allevamento intensivo è solo uno dei problemi legati alla Farm to Fork Strategy. Altrettanto pericoloso è il fatto che essa distragga, in quanto offre una scusa a coloro che si vedono impegnati in uno stile di vita più sostenibile per sentirsi in pace con sé stessi. Preoccuparsi seriamente dell’ambiente e al contempo godere dei prodotti animali è semplicemente contraddittorio.

L’UE ha le risorse: perché non usarle?
Proviamo a essere costruttivi: una campagna dell’UE volta a sensibilizzare, motivare i cittadini europei a mangiare più spesso prodotti a base vegetale e incoraggiare le mense pubbliche a offrire sempre un’opzione vegana sarebbe un primo passo in direzione di un cambio di paradigma. Tassare la carne non sarebbe di sicuro la scelta favorita, ma, perlomeno, sarebbe costruttivo assistere a un appassionato dibattito a tal riguardo in quel di Bruxelles.
Per ora, si può solo sperare che l’UE continui ad ascoltare la ‘generazione consapevole’ per fare di più e più velocemente possibile per affrontare la crisi climatica. Altrimenti, dovremmo concludere che l’UE finga soltanto di affrontare il cambiamento climatico, perché la ‘fiamma del progresso’ è ancora impegnata a grigliare una bistecca. Viva l’Europa.
Immagine di copertina: Illustrazione di @cia_rro