La scia dell’estate nera in Australia

Gli incendi che hanno infiammato l’estate australiana fra il 2019 e il 2020 hanno anche riscaldato la stratosfera, contribuendo al buco dell’ozono.

Fra il 2019 e il 2020 l’Australia fu devastata dagli incendi boschivi. Il periodo, passato alla storia come la “Black Summer” del paese, è ancora oggetto di studio da parte degli scienziati. Questo agosto, su Scientific Reports, è comparsa una ricerca secondo cui la Black Summer portò al più grande riscaldamento della stratosfera degli ultimi decenni. E non basta: secondo i ricercatori dell’Università dell’Exeter gli incendi danneggiarono anche lo strato di ozono.

Il 2019 era stato un anno particolarmente caldo e siccitoso in Australia. In alcune regioni – come l’Australia Occidentale e il Nuovo Galles del Sud – la temperatura aveva superato la media di oltre 2 gradi centigradi.

Anomalie della temperatura media a partire dagli anni ’60.
Fonte: Australian Government Bureau of Metereology.

Era stato un periodo difficile anche per le precipitazioni, con una delle peggiori siccità mai viste nella storia dell’Australia.

Così, mentre l’anno volgeva al termine e l’estate australiana (che cade fra dicembre e febbraio) prendeva piede, il paese era avvolto nella calura e nell’aridità. Alla fine del 2019 la vegetazione cominciò a bruciare e lingue di fuoco avvolsero il bush, il tipico paesaggio australiano di prateria e boscaglia.

Otto mesi dopo, avevano perso la vita almeno 33 persone e 500 milioni di animali ed erano andati in fumo quasi 19 milioni di ettari di boscaglia. Di questi, 13 milioni erano foreste pluviali e foreste di conifere secolari.

Gli incendi non sono una novità per le zone come il bush, ma negli ultimi tempi sono sempre più frequenti ed intensi. La stagione dei roghi oggi dura quasi un mese in più rispetto agli anni ’70 – e continuerà a estendersi. A questo si aggiunge che il fuoco non divora solo la savana e gli arbusti. Ha iniziato a colpire anche i boschi più antichi, come le foreste di conifere secolari, che non sono avvezze a incendi di questo tipo.

Uno scorcio di foresta pluviale australiana.
Fonte: Stephanie Edwards.

I danni della Black Summer furono evidenti fin dall’inizio. Già durante i primi roghi del 2019 – che alcuni chiamano “Australian New Year fires” – dalla boscaglia iniziarono a levarsi vortici di fumo.

A causa dell’intensità degli incendi, intorno ad essi si formarono dei veri e propri sistemi metereologici, separati dall’ambiente circostante. I temporali durarono anche giorni interi, e vortici d’aria gettarono il fumo sempre più in alto. Alcune creste di fumo sconfinarono dalla troposfera, lo strato atmosferico più vicino alla superficie terrestre, e raggiunsero la stratosfera. Il 31 dicembre 2019 il primo vortice raggiunse un’altezza di 16 km. Un secondo pennacchio di fumo toccò i 35 km e non scomparve per tutto il 2020.

A contribuire all’elevazione delle creste di fumo c’erano anche i raggi solari, che – attratti dalle particelle scure – le scaldavano e le facevano salire ulteriormente.

Situata fra gli 8 e i 13 km di altitudine in su, la stratosfera è il secondo involucro d’aria che avvolge il pianeta Terra. La sua temperatura dipende dai gas, che assorbono la luce. Le molecole di ozono, soprattutto, si scontrano coi raggi solari e si dissolvono, producendo calore.

Negli ultimi decenni la temperatura della stratosfera è rimasta piuttosto costante, e questo si deve anche al Protocollo di Montreal del 1987 e ai relativi sforzi di preservare lo strato di ozono. Le uniche anomalie registrate sono dovute alle eruzioni vulcaniche. Le particelle nell’aria dalle esplosioni dei vulcani assorbono i raggi infrarossi, e quindi scaldano la stratosfera. Il fumo prodotto dai roghi boschivi getta nell’atmosfera particelle simili a queste, ma ancor più nere e fuligginose, e dunque ancor più efficaci nell’assorbire la luce solare. Anche gli incendi, quindi, possono influenzare la temperatura della stratosfera. E così fu: all’inizio del 2020, poco dopo l’inizio della Black Summer, la stratosfera si riscaldò, raggiungendo temperature di 3 gradi centigradi intorno all’Australia e di 0,7 gradi a livello globale. Lo hanno scoperto i ricercatori dell’Università dell’Exeter analizzando due dataset satellitari.

“Numeri così alti non si vedevano dal 1991, ai tempi dall’eruzione del vulcano filippino Pinatubo” spiegano nel loro articolo Lilly Damany-Pearce e gli altri studiosi. Difficilmente le temperature della stratosfera cambiano a causa di ciò che accade sulla Terra, ed è ancora più raro che il fuoco abbia un effetto così significativo.

Il cielo australiano intriso di fumo, fra dicembre 2019 e gennaio 2020.
Fonte: Saeed Khan/AFP/Getty.

Questo non è nemmeno l’unico effetto degli incendi. Il fumo si insinua nell’atmosfera e va incontro a reazioni chimiche che finiscono per consumare le molecole di ozono.

Così, il buco nell’ozono sopra l’Antartide raggiunse livelli da record nel corso del 2020. Finì anche per influenzare l’andamento del vortice polare, una zona di aria fredda che avvolge l’atmosfera sopra ciascuno dei due poli. A sua volta, questa anomalia favorisce l’assottigliamento dello strato di ozono e influenza le temperature della superficie terrestre.

“Questo conferma che dobbiamo continuare a seguire il Protocollo di Montreal, che proibisce le sostanze responsabili della deplezione dell’ozono” affermava Vincent-Henri Peuch, direttore della Copernicus Atmosphere Monitoring Service. Lo studio dell’Università dell’Exeter, però, mostra che gli sforzi in questa direzione non sono sufficienti: anche gli incendi possono assottigliare lo strato di ozono.

A preoccupare è che il riscaldamento globale favorirà l’insorgere di nuovi roghi.

“I cambiamenti climatici del futuro influenzeranno la frequenza e l’intensità degli incendi boschivi” concludono Lilly Damany-Pearce e gli altri autori della ricerca. “E questo aumenterà la probabilità che ci siano ripercussioni sulla stratosfera”.

Immagine di copertina: Un canguro e, sullo sfondo, l’Australia avvolta nelle fiamme della “Black Summer”.

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