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La pornografia online deve essere educativa?

Come la volontà di attribuire un ruolo educativo alla pornografia online distoglie l’attenzione dalla grave lacuna, all’interno della scuola, di una sana educazione al sé sessuale.

Qualche settimana fa, su numerose piattaforme social, è stato pubblicato un frammento dell’intervento dell’europarlamentare del Partito Democratico Alessandra Moretti sulla necessità di un percorso di educazione sessuale nelle scuole secondarie, tema ostico ad alcuni partiti, storicamente sessuofobici per ragioni propagandistiche e auto-conservative. Il passaggio pronunciato dalla Moretti – in apparenza retorico – che si intende sviscerare in questa sede è: “vogliamo che Youporn sia il mezzo con cui i giovani si educano da soli alla sessualità?”.

Nel corso di conversazioni con amici – data l’attuale normalizzazione della fruizione della pornografia quale prodotto di consumo – accade di attraversare l’argomento e, nonostante spesso emergano numerosi spunti analitici e confessioni intime, l’impressione è che vi sia un comune disorientamento rispetto al ruolo che il porno assume (o che dovrebbe assumere) nel nostro quotidiano.

La causa di tale giustificata confusione – che deve essere superata – è individuabile in due filoni principali: il primo di natura storica e il secondo di natura individuale-educativa.

Per quanto riguarda l’aspetto storico, la pornografia è stata da sempre assediata da critiche di parti sociali tradizionalmente in contrapposizione. Oltre alla recentissima accusa pubblica di Papa Francesco secondo cui “il cuore puro non può ricevere queste informazioni pornografiche […] perchè indebolisce l’anima”, che poco stupisce, dagli anni ‘80 numerosi movimenti femministi radicali si sono opposti con fermezza al dilagare del fenomeno e hanno abbracciato così un abolizionismo pornografico integrale. Il paradosso della censura pornografica si manifesta nella sua complessità attraverso le figure di Andrea Dworkin e Catharine MacKinnon, studiose e attiviste femministe abolizioniste, che vennero incaricate dal partito conservatore di Minneapolis al fine di strutturare uno strumento giuridico che contrastasse la pornografia.

Sebbene l’intento iniziale intendesse scongiurare gli atroci episodi di violenza denunciati dalla pornostar Linda Lovelace sul set di Deep Throat, Dworkin e MacKinnon predisposero la c.d. ordinanza sui diritti civili anti-pornografia che avrebbe dovuto garantire alle vittime di violenze sul set di poter citare in giudizio, a fini risarcitori, le case di produzione e la grande distribuzione. L’ordinanza è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema degli Stati Uniti poiché, oltre ad avere una portata applicativa troppo ampia (che poco atteneva ad episodi di violenza di genere), era in pieno contrasto con principi fondamentali, primo fra tutti la libertà di espressione. L’equivoco che ha investito l’operato delle due attiviste radicali è stato quello di equiparare, in automatico, la rappresentazione pornografica e l’oppressione di genere.

Contestazione legittima: i prodotti mainstream dei siti porno ad alto traffico (Pornhub, YouPorn, xHamster) restituiscono una rappresentazione fallocentrica dei rapporti sessuali eterosessuali dove la sottomissione della figura femminile è incontestabile. Oltretutto agevolano il mantenimento, da un lato, dello stereotipo estetico femminile che richiede nella performer seno rifatto, labbra carnose, corpo glabro e atteggiamento tendenzialmente passivo e, dall’altro, quello maschile di uomini atletici con genitali enormi e dagli atteggiamenti brutali.

Impossibile dissentire, ma la pornografia mainstream costituisce la messa in scena di un rapporto sessuale che, anche se reale, si sviluppa entro le logiche di domanda-offerta dei suoi maggiori fruitori – notoriamente di sesso maschile – e che quindi, per ragioni di profitto, si disinteressa all’avvicinamento del pubblico femminile ai porntubes. E’ anche per questo motivo che, spesso, i prodotti pornografici mainstream mantengono sia il predetto modello estetico dei performers che una progressione del rapporto sessuale molto ripetitiva.

persona prende appunti su come fare sesso dalla visione di un porno
Illustrazione di @cia_rro.

Per sopperire agli indubbi limiti della rappresentazione pornografica mainstream sono intervenute due alternative (che rappresentano pur sempre due nuovi prolifici mercati): il porno amatoriale e il porno “femminista”. L’appeal dei prodotti amateur risiede nell’avvicinamento della performance di attori non professionisti a standard e situazioni reali. I corpi e le reazioni sono verosimili, l’ambientazione è credibile e, a parte qualche eccezione, le inquadrature a bassa risoluzione sono meno intrusive: risulta, di conseguenza, più agevole immedesimarsi nei protagonisti. La pretesa del porno amatoriale è, primariamente, quella di permettere allo spettatore di sbirciare un autentico rapporto sessuale e oggi realizza solo parzialmente il proprio intento. L’industria amatoriale, sebbene si radichi attorno al lodevole intento di genuinità della rappresentazione, richiede un elemento essenziale e al contempo problematico che vanifica i suoi intenti: la presenza di uno strumento di ripresa. La volontà di documentare un rapporto sessuale e la consapevolezza di essere filmati trasforma paradossalmente i protagonisti in veri e propri personaggi, a cui si richiede di ostentare di essere sé stessi durante un rapporto sessuale.

Il porno “femminista” – che virgoletto di proposito – si propone invece di rappresentare il sesso svincolato dai ruoli sessuali così come stabiliti dal porno mainstream. Questa rappresentazione di un piacere femminile libero ha trovato in Erika Lust, regista svedese, l’esponente più apprezzata dal pubblico femminile. I film di Erika Lust sono realizzati per le donne attraverso il female gaze e, come emerge dalla presentazione della regista sul suo sito principale, raccontano un’ampia gamma di forme di corpi e di sessualità, senza alcuna forma di discriminazione. Senza dubbio si riconosce la condivisibile volontà di accordare alle fruitrici uno spazio alternativo di godimento sessuale, ma l’impressione è che le pellicole della Lust codifichino, ancora, una rappresentazione unilaterale delle fantasie erotiche – anche se questa volta solo per il pubblico femminile.

il porno “femminista” di Erika Lust secondo la stampa

Per quanto riguarda il secondo aspetto da analizzare, di natura individuale-educativa, gli sforzi continui di condannare la pornografia dimenticano – a parer mio volontariamente – che non vi è in essa alcun proposito pedagogico quanto piuttosto di svago e di eccitazione individuale. Il problematico rapporto con la pornografia si presenta perché la maggior parte delle persone, soprattutto da giovani, si avvicinano senza strumenti alla pornografia online per osservare da vicino la dimensione sessuale e cadono nella convinzione inconscia che quella sia la realtà dell’atto sessuale. L’assenza di educazione sessuale nelle scuole – oggi circoscritta all’anatomia degli apparati riproduttori con qualche sporadico accenno alle precauzioni da utilizzare – e di un dialogo profondo sul piacere rende la pornografia online una delle fonti principali attraverso cui si sviluppa una coscienza del sé sessuale.

Le grottesche obiezioni secondo cui la sensibilizzazione sul tema sia di competenza della famiglia di provenienza sono una favola da cui liberarsi, perché la pornografia online non può continuare a sostituirsi ad un percorso educativo scolastico con specialisti esperti, considerato soprattutto che si tratta di una rappresentazione artificiosa del rapporto sessuale. Claudia Ska, autrice del libro “Sul porno. Corpi e scenari della pornografia”, edito da Villaggio Maori Edizioni nel 2021, scrive “l’esposizione frequente a contenuti pornografici ha fatto sì che, da una parte, la crociata anti-porno si facesse più insistente e, dall’altra, si pretendeva che educasse al sesso”.

Per ritornare alla frase pronunciata dalla Moretti, il nodo che tutte le parti sociali dovrebbero sciogliere è questo: c’è la volontà effettiva di estirpare l’attuale modello sul tema? Un modello che, in prima istanza, nega dignità alla sfera sessuale ostacolando programmi positivi di educazione sessuale e che, ciononostante, esige una pornografia online – non rispondente a linee guida etiche ma a logiche meramente rappresentative – che promuova un sesso “sano” e che ponga rimedio agli equivoci sessuali che si presentano nel quotidiano? 

Immagine di copertina: Illustrazione di @cia_rro

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