Nave in porto al tramonto

Le dimensioni non contano, guarda il Gibuti!

Un paese piccolo e povero, ma in grado di trattare con superpotenze globali come Stati Uniti, Russia e Cina. La storia del Gibuti potrebbe stupirvi…

A prima vista, il Gibuti non pare avere le caratteristiche di un paese particolarmente rilevante. La sua superficie è ristretta: 23,000 chilometri quadrati, circa 13 volte più piccolo dell’Italia. La sua popolazione è limitata: poco più di 900mila persone in tutto il paese, meno della popolazione di Milano. Il livello di ricchezza è altrettanto limitato: il PIL per pro capite del paese è di circa 5,700 dollari (contro, per esempio, i 41,800 dollari dell’Italia), e nonostante una crescita sostanziale negli ultimi dieci anni, rimane 168esimo nella classifica mondiale. Insomma, “Gibu-chi?”

Nonostante le sue dimensioni ridotte e il suo basso livello di ricchezza, però, il Gibuti è riuscito a guadagnarsi un posto di rilievo a livello globale, trattando con superpotenze come gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. Come è possibile? Beh, come ben sappiamo, né le dimensioni né la ricchezza alla fine contano così tanto. Quello che conta è essere al posto giusto al momento giusto, ed essere furbi nello sfruttare le proprie qualità. E questo il Gibuti lo ha saputo fare molto bene.

Nel posto giusto al momento giusto

La risorsa più importante del Gibuti è la sua posizione strategica. Il paese si trova sulle sponde del Golfo di Aden, all’imbocco meridionale del Mar Rosso. Dall’apertura del Canale di Suez nel 1869, le acque di questa regione sono diventate un punto di transito fondamentale per collegare il bacino del Mar Mediterraneo (e quindi l’Europa) con l’Oceano Indiano e tutta l’Asia. È stato stimato che circa 10-20% del commercio mondiale – inclusi circa 6 milioni di barili di petrolio al giorno – passano per queste acque, giusto di fronte alla costa del Gibuti. Quello che succede in quella zona, di conseguenza, è importante non solo per il Gibuti e i suoi vicini, ma anche per una marea di paesi stranieri più o meno lontani.

Gibuti sulla mappa del mondo
La posizione strategica del Gibuti, tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano
Credits: OnTheWorldMap

Il primo paese interessato al Gibuti è l’Etiopia, potenza regionale del Corno d’Africa. Il commercio internazionale dell’Etiopia – un enorme mercato da 110 milioni di persone – dipende per più del 90% dal porto di Gibuti, dal momento che l’Etiopia non ha accesso diretto al mare. La posizione strategica del Gibuti ha anche attratto diversi paesi al di fuori del Corno d’Africa. Nei suoi soli 23mila chilometri quadrati di territorio, il Gibuti ospita cinque basi militari: una francese (il più grosso contingente francese al di fuori del territorio nazionale), una statunitense (la sede di AFRICOM, il Comando Africano delle forze armate USA), una cinese (la prima e per ora unica base militare aperta dalle forze armate cinesi fuori dal territorio nazionale), ma anche una giapponese a una italiana (entrambe di dimensioni molto più ridotte rispetto alle prime tre).

Una buona dose di furbizia

Fin dai primi anni di indipendenza dal dominio francese (ottenuta nel 1977), il governo del Gibuti è riuscito a sfruttare con molta furbizia la propria posizione strategica e l’interesse internazionale che ne deriva. La presenza di truppe francesi, combinata con un patto di difesa ormai decennale, ha garantito la sicurezza e l’indipendenza del Gibuti in una regione turbolenta, dove grossi vicini come l’Etiopia e la Somalia avrebbero avuto un interesse a inglobare il loro piccolo vicino. Invece di farsi inglobare, il Gibuti ha saputo sfruttare la sua posizione per raccogliere ogni anno una vasta somma di denaro dall’Etiopia in termini di commissioni per l’uso del porto di Gibuti. Questa somma è stimata sulle centinaia di milioni di dollari (con alcune stime attorno al miliardo) – una cifra enorme per un paese il cui PIL è di circa 3,4 miliardi di dollari.

Mappa basi militari in Gibuti
Le basi militari in Gibuti
Credits: M&G

In aggiunta, negli ultimi vent’anni il governo del Gibuti ha saputo sfruttare al massimo il crescente interesse di grandi potenze straniere per massimizzare i propri guadagni. Come da manuale di leggi del mercato, maggiore domanda ha portato a un incremento dei prezzi. Quando nel 2002 gli Stati Uniti hanno deciso di aprire una base in Gibuti, il governo locale ha alzato l’affitto per la base francese da 20 milioni di dollari all’anno a 34 milioni. Quando nel 2014 la Russia ha provato ad aprire una base militare in Gibuti, il governo locale ha ceduto alle pressioni statunitensi per rifiutare l’offerta russa. In cambio, però, l’affitto pagato dagli USA per la base di Camp Lemonnier è salito da 30 milioni di dollari all’anno a 63 milioni. Nel frattempo, il Presidente del Gibuti era già in trattativa con un altro rivale degli Stati Uniti – la Cina – per aprire una base navale. A nulla sono servite le forti proteste degli USA, che hanno perfino minacciato di spostare la propria base se la base cinese fosse stata aperta. Il Presidente del Gibuti ha chiamato il bluff – e ha avuto ragione: oggi, la base USA e quella cinese convivono (anche se non sempre con agio) a pochi chilometri di distanza, e il governo locale incassa circa 120 milioni di dollari all’anno da Francia, USA e Cina per l’affitto dei terreni che ospitano le tre basi.

La furbizia non è tutto

La strategia del governo del Gibuti ha avuto fino ad oggi successo nel garantire al piccolo paese del Corno d’Africa una posizione di rilievo a livello regionale ed addirittura globale. Non ha avuto lo stesso successo, però, nel garantire miglioramenti significativi per la vita della popolazione locale. I fondi ricevuti sotto forma di commissioni portuali e affitti di terreni per basi militari sono stati usati dal governo locale per garantirsi l’alleanza di attori chiave (politici, grandi aziende, ecc.), e così facendo consolidare il proprio controllo politico sul paese. I benefici per la popolazione, per contro, sono rimasti limitati. In ogni caso, la storia del Gibuti ci conferma qualcosa di importante: le dimensioni e la ricchezza, alla fine della fiera, contano solo fino a una certa.

Nota: Le opinioni espresse nell’articolo sono solamente quelle dell’autore, e non riflettono necessariamente quelle di Echo Raffiche o di istituzioni a cui l’autore è affiliato.

Immagine di copertina: Una vista del Porto di Gibuti. Credits: AP

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