
Non si sente spesso parlare del Sudan, e – quando succede – generalmente non è per cose belle: vari cicli di carestie, il sanguinoso conflitto in Darfur, la condanna internazionale dell’ex-presidente Omar al-Bashir per genocidio. Niente male, no? Eppure, dietro a questo velo nero c’è dell’altro. Per esempio, c’è un popolo che è riuscito per ben tre volte a rovesciare delle dittature militari tramite proteste largamente pacifiche. Questo è il lato del Sudan che questo articolo vuole raccontare.
La prima volta non si scorda mai
È il 1964, e il Sudan è governato da un generale, Ibrahim Abboud, che ha preso potere nel 1958 tramite un colpo di stato. Durante questi sei anni, il regime di Abboud ha severamente ristretto le libertà politiche, dissolvendo i partiti, proibendo assemblee, e smantellando l’informazione indipendente. Nel 1964, però, nel bel mezzo della guerra civile nel sud del paese, la popolazione si ribella. Quando un gruppo di studenti dell’Università di Khartoum, la capitale, fa sentire la sua voce in opposizione al regime militare, la polizia interviene. Uno studente viene ucciso negli scontri, e al suo funerale partecipano 30 mila persone. I sindacati organizzano uno sciopero generale che blocca il paese, e i partiti – liberati dal giogo – si uniscono alle proteste.

Credits: Jan Reddebrek | Libcom.org
Con la pressione popolare che monta, il 26 ottobre 1964 Abboud – sfiancato dalle pacifiche ma sostenute proteste della popolazione sudanese – fa un passo indietro. Sotto la guida di un governo di transizione, il paese ritorna alla democrazia. La pressione popolare ha avuto successo, e il popolo sudanese non se ne dimenticherà facilmente.
“Se ce l’abbiamo fatta una volta, possiamo farcela ancora”
Un paio di decenni dopo la “rivoluzione di ottobre”, però, la situazione è nuovamente grama. La democrazia riconquistata dal popolo sudanese nel 1964 non è durata molto: nel 1969, il colonnello Jafaar Nimeiri ha riportato il potere in mano ai militari tramite un altro colpo di stato, e come il suo predecessore ha chiuso qualsiasi spazio politico in Sudan, lasciando attivo un solo partito – il suo. Durante i sedici anni di governo di Nimeiri, purtroppo, i problemi non mancano, tra guerra civile nel sud, siccità e carestie, un processo di islamizzazione forzata, e un crescente malessere economico. Nel 1985, quindi, la polveriera è di nuovo pronta ad esplodere.
Ancora una volta, come nel 1964, sono gli studenti ad accendere la miccia – questa volta all’Università islamica di Omdurman, la città gemella di Khartoum, dal lato opposto del Nilo. Ancora una volta i servizi di sicurezza ci vanno giù pesante – con l’unico risultato di inasprire ancora di più le proteste. I dottori, seguiti presto da altri professionisti, giocano di nuovo la carta sciopero generale, e il 4 aprile l’80% dei lavoratori sudanesi nel settore pubblico e privato rispondono con la loro adesione. I partiti politici si uniscono alla lotta, e ormai i manifestanti sono convinti di farcela: “se ce l’abbiamo fatta una volta, possiamo farcela ancora”, dicono riferendosi alla rivoluzione del 1964. E hanno ragione: il 6 aprile, Nimeri viene rimosso dal capo di stato maggiore dell’esercito sudanese, che in un anno traghetta il paese a elezioni. Ancora una volta, la popolazione ha fatto valere la propria voce, facendo cadere il governo e ripristinando la democrazia senza spargimento di sangue.

Credits: Associated Press
Non c’è due senza tre
Lo so, è uno spoiler, ma ormai tanto la storia l’avete già capita. Solo quattro anni dopo la “rivoluzione di aprile”, il Sudan è vittima di un nuovo colpo di stato. Questa volta è il turno del generale Omar al-Bashir, supportato dagli islamisti di Hassan al-Turabi (amico di Osama bin Laden – quanto è piccolo il mondo, vero?). Come da copione, il generale dissolve parlamento, partiti, sindacati, giornali – insomma, qualsiasi traccia di democrazia.
I trent’anni di governo Bashir sono intensi, caratterizzati da isolamento internazionale, conflitti interni, la secessione del Sud Sudan (lo stato più giovane del mondo, in caso non lo sapeste), e – ancora una volta – crescenti problemi economici. Nel 2013, sull’onda della primavera araba, i cittadini sudanesi provano a ribellarsi, ma Bashir e i suoi servizi di sicurezza riescono a sopprimere le proteste con la forza. Ma se così facendo il regime riesce a guadagnare tempo, non riesce a risolvere i problemi.
E allora nel dicembre 2018 i problemi riemergono, ed il ciclo si ripete – anche se con qualche variazione. Questa volta la miccia si accende con delle proteste popolari contro l’aumento del prezzo del pane. Bashir prova a ripetere la strategia del pugno di ferro, ma questa volta non basta. Le manifestazioni prendono piede, con alcuni atti di vandalismo (l’edificio del partito del presidente a Atbara viene messo a fuoco), ma soprattutto con manifestazioni pacifiche (tra cui un ostinato sit-in fuori dal quartier generale dell’esercito).

Credits: RD / Dabanga Sudan
Le proteste portano i loro frutti, e l’11 aprile, gli alti gradi dell’esercito depongono Bashir. I manifestanti, però, non si fidano a lasciare il governo in mano all’esercito, fino a pochi giorni prima al servizio del dittatore. Le proteste quindi continuano, nonostante la repressione brutale dell’esercito (centinaia di manifestanti vengono massacrati a Khartoum il 3 giugno). Alla fine, anche grazie alla mediazione di altri paesi africani e della comunità internazionale, le parti arrivano a un accordo nell’agosto 2019: dopo 39 mesi di transizione, sotto il controllo congiunto di militari e civili, il Sudan tornerà ancora una volta ad essere uno stato pienamente democratico.
Le due facce del Sudan
Sono ormai passato circa 20 mesi dall’accordo di agosto 2019, e i problemi in Sudan non mancano. Resta però un dato importante: per ben tre volte nella storia moderna del paese, la popolazione sudanese è riuscita a rovesciare regimi militari autoritari grazie alla forza di una mobilizzazione popolare largamente pacifica. Il Sudan non è solo il paese delle carestie e delle guerre; è anche un paese di rivoluzionari pacifici, da cui il mondo potrebbe avrebbe qualcosa da imparare.