
Il 26 marzo, il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato: “Non possiamo abbandonare la Tunisia, altrimenti rischiamo di avere i Fratelli musulmani che rischiano di creare instabilità.” Il fine ultimo del governo, come spesso capita quando si parla di politica italiana in Africa, è quello di arginare il flusso di migranti verso l’Italia. Il mezzo scelto è quello di supportare Kais Saied, presidente tunisino in carica e nemico acerrimo dei Fratelli musulmani. Purtroppo, però, il piano del governo ha una falla non da poco: il governo di Kais Saied è tra i responsabili dell’instabilità nel paese.
Un passo indietro nel tempo
Corre l’anno 2019 quando Kais Saeid, professore di diritto senza alcuna esperienza politica, viene eletto presidente della Tunisia. Il paese è in un momento difficile, con una crisi economica che si trascina da alcuni anni, e una larga fetta della popolazione che si lamenta del peggioramento delle condizioni di vita.
Alla vigilia delle elezioni molti vedono ancora la Tunisia come un successo della Primavera araba. Dopotutto, dopo le rivolte del 2011, l’Egitto è ritornato velocemente sotto una nuova dittatura, e altri paesi come la Libia, la Siria e lo Yemen sono addirittura precipitati in una guerra civile. La Tunisia, per contro, continua a essere una democrazia, e si avvia verso la sua terza esperienza elettorale.

Credits: Borni Hichem.

Credits: Fethi Belaid | AFP.
La svolta autoritaria
L’inizio della presidenza di Saied non è sicuramente fortunato: ai problemi economici di base della Tunisia si aggiunge presto lo scoppio della pandemia a inizio 2020, che complica ancora di più la situazione. L’economia continua a peggiorare, e la popolazione scende in piazza per protestare.
È in questo contesto che, nel luglio 2021, Saied sospende il parlamento e dissolve il governo. Le reazioni sono miste. L’opposizione – Ennahda in testa – denuncia la mossa come un colpo di stato. Per contro, parte della popolazione scende in piazza per celebrare la decisione di Saied, nella speranza che un uomo forte al comando possa scuotere un sistema ormai percepito da molti come corrotto e incapace di migliorare le condizioni di vita dei tunisini.
Nei mesi successivi, la sospensione del parlamento si rivela come l’inizio di una lunga serie di mosse tramite cui Saied mette in opera la sua svolta autoritaria. Nel giro di poco tempo, il presidente dissolve in modo permanente il parlamento, ordinando all’esercito di bloccarne l’ingresso ai politici, imprigiona un numero crescente di membri dell’opposizione e di giudici, e accentra gran parte dei poteri dello stato su di sé. In un anno, secondo alcuni analisti, le politiche di Saied “annullano quasi un decennio di progresso democratico”.

Credits: Yassine Mahjoub| AFP.
La consolidazione finale della svolta autoritaria del presidente arriva nel luglio 2022 con il referendum di approvazione per la nuova costituzione proposta da Saied. Dopo un processo caratterizzato da scarsa partecipazione popolare e controversie varie, la costituzione viene approvata dal 94% dei votanti. I votanti, però, sono solo il 30% degli aventi diritto – un numero che riflette la decisione dell’opposizione di boicottare il voto, ma anche la disillusione generale della popolazione nei confronti della politica.
Falsa stabilità
È un vecchio ritornello quello secondo cui un governo autoritario è il modo più efficace per garantire stabilità. Anche se nel breve termine questa politica può dare gli effetti desiderati, nel lungo termine sono purtroppo gli effetti in-desiderati che spesso tendono a prendere il sopravvento. Basti guardare la Libia: trent’anni di apparente stabilità durante l’era di Gheddafi, seguiti poi da dieci anni di caos e guerra civile.
In Tunisia, l’obiettivo dichiarato della svolta autoritaria di Kais Saied era quello di “salvare il paese”, ponendo fine agli infiniti conflitti politici e portando la stabilità necessaria per traghettare la Tunisia fuori dalla crisi. A quasi due anni di distanza, però, i risultati paiono scarseggiare. Il paese rimane in una situazione di forte instabilità politica ed economica, con l’Unione europea preoccupata dal potenziale “collasso” del paese.
Ad osservare questi sviluppi, quindi, la ricetta del governo italiano – offrire supporto a Saied per arginare l’instabilità in Tunisia – non pare essere delle migliori. E in caso ci fosse ancora qualche dubbio, ci pensano gli eventi delle ultime settimane a mostrare che il presidente tunisino in carica pare creare più problemi che soluzioni per l’Italia e l’Europa.
È fine febbraio quando Kais Saied fa un annuncio pubblico in cui condanna la presenza di migranti sub-Sahariani in Tunisia, identificandoli come fonti di “violenza, crimine e atti inaccettabili.” Niente di nuovo per noi italiani, se non che di solito in Italia includiamo i tunisini tra i discriminati (vi ricordate la citofonata di Salvini? Il destinatario era tunisino), mentre in questo caso è un tunisino a discriminare (“si è sempre i meridionali di qualcuno”, diceva Luciano de Crescenzo in Così parlò Bellavista, e allo stesso modo si è sempre i settentrionali di qualcuno – ma questo è un altro argomento).
La conseguenza delle dichiarazioni di Saied? Un’ondata di violenza – inclusi assalti violenti, rapine, vandalismo, sfratti, terminazioni di contratto ingiustificate, chi più ne ha più ne metta – contro migranti residenti in Tunisia e colpevoli di avere la pelle un po’ troppo scura. E, con grande dispiacere del governo italiano, un numero crescente di questi migranti che attraversano il Mediterraneo per raggiungere l’Europa.

Credits: Fethi Belaid | AFP.
La zappa sui piedi
A guardare bene la situazione, supportare ciecamente il governo di Saied rischia non solo di favorire la restrizione delle libertà democratiche in Tunisia, ma anche di aumentare le partenze di migranti verso l’Italia – esattamente l’opposto dell’obiettivo del governo. In gergo, tirarsi la proverbiale zappa sui piedi. Forse, prima di convincere altri paesi europei a seguire la nostra strategia, sarebbe bene pensare due volte se questa strategia sia quella giusta o meno.
Nota: Le opinioni espresse nell’articolo sono solamente quelle dell’autore, e non riflettono necessariamente quelle di Echo Raffiche o di istituzioni a cui l’autore è affiliato.
[1] L’ideologia islamista favorisce l’applicazione di norme religiose nella vita politica e sociale di un paese.
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Immagine di copertina: Manifestazione contro le dichiarazioni razziste del presidente tunisino Kais Saied.
Credits: ANSA.