Logiche ed effetti delle dating apps: rivendicare un’utenza consapevole

Introdursi nelle logiche del crescente fenomeno delle piattaforme di dating come Tinder, Bumble e Hinge è il primo passo per prevenirne i potenziali effetti negativi e garantirne un utilizzo sano e informato.

Scorrere l’immensa offerta di libri e tutorial che dispensano consigli sulle modalità più efficaci, sulle app di incontri, per sbaragliare la concorrenza amorosa-sessuale è il punto di partenza per comprendere la portata del fenomeno delle dating apps. Tutti questi contenuti hanno un elemento comune: diversificano i propri suggerimenti operativi in base alle caratteristiche delle diverse piattaforme, come Tinder, Bumble o Hinge. Dopo aver assorbito una buona dose di raccomandazioni firmate dai grandi guru delle piattaforme di dating, ho accantonato ogni giudizio sulla loro pochezza per pormi, a monte, una domanda. Perché tutti questi consigli si concentrano sul mezzo, su come utilizzare al meglio i diversi tipi di app, e dimenticano invece di analizzare le logiche di partenza che si celano dietro a queste piattaforme, così come i loro effetti a lungo termine?

Una prima determinante risposta sulle logiche adottate da Tinder la si trova nel libro-inchiesta “L’amour sous algorithme” di Judith Duportail, giornalista indipendente francese che si occupa di utilizzo dei dati da parte delle big companies e di incidenza della tecnologia nella sfera intimo-affettiva. L’autrice partendo dalla propria esperienza su Tinder ha illustrato al pubblico il funzionamento del c.d. Elo Score, un indice di desiderabilità attribuito dalla piattaforma a ciascun utente in base alle proprie performance in ambito lavorativo, al proprio genere e al numero ricevuto di swipe right. L’elemento più allarmante del brevetto consiste in quello che Tinder stesso definisce gender-role traditionalism, che si concretizza nel misurare l’attrattività di una persona a partire dal genere sessuale e dalla differenza d’età in relazione all’altro utente presentato dalla piattaforma. Naturalmente il punteggio più elevato viene attribuito agli uomini più anziani e alle donne più giovani.

Pochi giorni prima dell’uscita del libro francese, le fonti ufficiali di Tinder hanno dichiarato di aver modificato il proprio brevetto garantendo nuove strategie di incontro fra profili e di non utilizzare più l’Elo Score. Restano, ad oggi, profondi dubbi su come possa essersi realizzata una riforma ontologica in una piattaforma che, malgrado l’immagine pubblica di dating app progressista, fra i capisaldi del proprio algoritmo ha scelto per anni la riproduzione di stereotipi di genere reazionari

Installazione di Tinder per il Pride a New York, 2019.

Domanda lecita: perché ancora stupirsi della scelta di un simile algoritmo per Tinder che, in quanto azienda privata, è orientata al conseguimento del profitto?

A dirla tutta, lo stupore circa l’infelice scelta del gender-role traditionalism quale criterio regolatore per la vita di una realtà come Tinder si manifesta, anzitutto, nel momento in cui si consultano le date di nascita dei fondatori di Tinder, tutti quanti/e ragazzi/e compresi/e fra i 25 e i 35 anni. La decisione operativa di discriminare non è frutto di boomers quanto di appartenenti ad una generazione che, secondo numerosi studi, dovrebbe aver sviluppato maggiore sensibilità sulla tematica di discriminazione di genere. La questione, quindi, potrebbe essere persino più scomoda di quanto sembri: i patterns discriminatori sono stati elaborati da persone informate e coinvolte in prima persona in tale mutamento socio-relazionale.

Ci sono piattaforme di dating apps che, in modo diverso, hanno cercato di abbattere gli stereotipi di genere tipici di Tinder. Per esempio Bumble, piattaforma operativa dal 2014 ideata da Whitney Wolfe Herd, ex fondatrice di Tinder, al fine di “avere totale eguaglianza fin da subito” attribuisce soltanto alla donna il potere di scrivere per prima laddove vi sia un match. Non può che scappare un sorriso di fronte all’esiguo impatto di questa soluzione. Infatti anche Bumble, nonostante l’accogliente design del sito, non esplicita con precisione su che basi possa (auto)classificarsi come piattaforma “truly intersectional”. Sul sito di Bumble si trovano principalmente campagne di solidarietà verso organizzazioni che si occupano di contrasto all’odio razziale ma, riguardo alle politiche di gender equality della piattaforma, si rinviene solo una partnership di $250,000 con il Southern Poverty Law Center per rimuovere l’“odio” da Bumble.

Illustrazione di Beatrice Perego

Altra logica comune alle dating apps è la volontà di creare un social di incontri che, di fatto, elida la tipica paura di rifiuto che si presenta durante le prime interazioni fra persone che non conoscono le reciproche intenzioni. Le piattaforme di incontri, infatti, sono state realizzate attraverso il modello di marketing chiamato double opt-in – letteralmente doppia adesione – secondo cui l’utente registra il proprio profilo, viene mostrato agli altri iscritti e, qualora vi sia reciproco interesse manifestato attraverso uno swipe right, viene notificata l’apertura della chat ad entrambi i profili. Lo stesso CEO di Tinder nell’intervista della Duportail racconta come gli è balenata l’idea di Tinder così: “ero in un bar con degli amici, una ragazza mi ha sorriso, ho capito che stava per rivolgermi parola e questa certezza mi ha rassicurato”. Ad oggi la versione gratis di Tinder permette all’utente di esprimere massimo 100 swipe right al giorno mentre quella di Bumble ne garantisce 25. E’ evidente come l’ammontare di swipe right concessi sia molto elevato – e qui stiamo parlando di utenti che non possiedono la versione Plus/Premium che ne assicura l’illimitatezza – e non è difficile che venga abbandonata la logica della paura del rifiuto verso una dipendenza crescente da conferme esterne.

A tal proposito va, forse, spezzata una lancia a favore di Hinge, dating app accessibile in Italia da pochi mesi e che ha acquisito una certa notorietà grazie al suo ardito slogan: The dating app designed to be deleted. Oltre a ridurre a 8 il numero di swipe right giornalieri, questa app richiede all’utente di predisporre il proprio profilo con grande accuratezza e, così facendo, disincentiva indirettamente l’utilizzo ossessivo della piattaforma e la frequente tendenza dell’utenza a praticare il ghosting e il flaking.

L’incidenza di tali comportamenti minori, così come di problematiche più serie legate alla dipendenza comportamentale o addirittura a disturbi depressivi maggiori dovrebbe porre chi lavora all’interno di queste piattaforme davanti ad una riflessione. Non basta dire, come dichiarato dalla consulente Tinder per i rapporti con la stampa francese, che: “Se alcune persone vogliono farne un uso consumistico, fatti loro, Non è Tinder a essere individualista, ma la società”. Una generica accusa nei confronti di un “sistema individualista” non è sufficiente a smarcarsi dalle proprie responsabilità, anche e soprattutto a fronte di effetti e conseguenze non ignorabili, come avremo modo di analizzare nella seconda parte dell’articolo.

Avvertenza: con questo articolo in due parti non si vuole, in alcuna misura, stigmatizzare l’utilizzo delle dating apps perché, oltre che essere un atteggiamento superficiale, non permetterebbe un’analisi obiettiva sulla partecipazione di queste alla trasformazione delle dinamiche relazionali e, quindi, individuali di oggi.

Immagine di copertina: Illustrazione di Beatrice Perego.

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