Long Train Learning: la vita di un musicista professionista

Chiacchierata con Emanuele Tosoni, musicista, turnista e produttore professionista.

Uno dei miei gruppi musicali italiani preferiti sono i Calibro 35

È una band molto particolare, formata per lo più da musicisti turnisti professionisti, e caratterizzata da un sound originalissimo, che ricorda senza alcun dubbio le colonne sonore dei film crime anni ’70 italiani.

Uno dei loro pezzi più famosi, oltre che uno dei miei preferiti, è “Notte in Bovisa”, brano che richiama in maniera chiara l’atmosfera da anni di Piombo del periodo in questione.

Ebbene, il caso volle che qualche martedì fa, in una buia serata milanese, mi persi proprio in quella zona, in Bovisa, da solo, senza bene sapere che fare

 


Da qui in poi, se vorrete porre in sottofondo un qualunque brano della band, gioverà sicuramente all’atmosfera del racconto

 

Come nelle migliori pellicole, tutto ciò che in una normale giornata procede regolarmente, in specifici momenti cessa di funzionare, nel mio caso, l’indispensabile Google Maps. Conoscevo soltanto il punto di arrivo, lontano da quella zona ombrosa, ma la verità è che non avevo idea di come arrivarci. Ciò che sapevo, però, è che non avevo alcuna intenzione di tornare a casa, abbandonando il motivo del mio pellegrinaggio. 
Pochi attimi dopo, da una strada buia, vedo arrivare due loschi individui, indicativamente sulla quarantina. 
Numerose persone nella vita mi hanno ispirato fiducia, e posso soltanto dire che loro, di certo, non erano tra questi
Dopo una breve disquisizione con i due, decido di mettere da parte il mio primordiale istinto di sopravvivenza e di completare ciò che mi ero proposto di fare; procedo assieme a loro per circa un chilometro, scoprendo soltanto alla fine del nostro tratto comune, che il loro intento (devo dire ottimamente celato) era solo quello di scortarmi per una zona che loro, in prima persona, mi avevano descritto come “decisamente non sicura, specialmente da soli”.
Salutati i miei compagni di viaggio riprendo la strada normale e, qualche decina di minuti più tardi, arrivo finalmente a destinazione.

Questo percorso penso sia stato una perfetta metafora, regalatami dal destino, di ciò che lì a poco mi sarebbe stato raccontato, e che a mia volta racconterò a voi. 
Durante l’impervio viaggio verso i propri obiettivi nessuno è in grado di conoscere dove porterà il prossimo bivio, e nessuno sa davvero quali saranno le persone che li accompagneranno e che intenzioni avranno nei propri confronti. Le zone d’ombra incontrate, spesso sono il modo per riconoscere la luce, ma talvolta sono presenti e basta, sta a noi superarle senza grandi drammi, perché il momento successivo potrebbe essere proprio quello della svolta e, ironia della sorte, magari proveniente proprio dai tanto temuti vicoli bui.

Qual era la tanto agognata destinazione? Presto detto: il luogo dove ho passato la serata parlando con il nostro prossimo ospite, luogo che, ci tengo a sottolineare, nulla ha a che fare con l’esperienza appena descritta.

La persona con la quale ho avuto il piacere di conversare questa volta si chiama Emanuele, è un musicista professionista, che ci ha regalato una splendida intervista. 
Il suo soprannome “Braoboy” è un’incredibile crasi bresciano-inglese (“brao” è infatti il modo gergale per dire “bravo” nella parlata bresciana), datogli tempo addietro dal gruppo musicale Typo Clan e che tutt’ora gli è rimasto cucito addosso.
Non potrei essere più d’accordo con l’epiteto in questione, perché Emanuele è bravo davvero. È infatti abbastanza competente e preparato da non aver affatto bisogno di incarnare i classici comportamenti distaccati che, spesso, le persone nel campo artistico tendono ad avere per darsi un tono. Si comporta nella maniera esattamente opposta.

Signori e signore, è un piacere dare il benvenuto, sugli schermi di Echo Tapes e ancor prima di Echo Raffiche, a Emanuele Tosoni.

Ciao Emanuele, raccontami un po’ di te e del tuo percorso di formazione.

Ciao! Mi chiamo Emanuele Tosoni, 10/07/97, orgogliosamente Bresciano, trapiantato a Milano per questioni lavorative e di studio. Attualmente sto facendo il master in batteria pop al conservatorio di Milano, dopo aver completato il triennio a Brescia. Ho scelto questo percorso perché penso che il conservatorio insegni l’approccio più professionale possibile alla musica, dal metodo di studio all’attenzione verso i particolari.

Sono partito come spesso accade in Italia dalla banda di paese, Collebeato nello specifico, che si trova in provincia di Brescia. Dopo le scuole medie, dove passavo le giornate a suonare, vengo a sapere dell’esistenza del liceo musicale, e decido di iscrivermi.
Al liceo inizio, quindi, un percorso più classico, studiando le percussioni e infatti il primo vero sogno è stato quello di entrare a far parte di una grande orchestra, come quella della scala ad esempio; col tempo poi ho iniziato a suonare con il mio primo gruppo, e lì ho capito che la mia strada sarebbe stata un’altra: volevo fare il batterista.
Finito il liceo, ho iniziato a lavorare in un’orchestra di liscio, esperienza durata un anno e mezzo. 

Scelta particolare.

Si, sentivo l’esigenza di una realtà dove poter suonare tanto e che mi svezzasse anche da un punto di vista lavorativo, per poter acquisire la mentalità. Grazie a questa scelta avevo il tempo di studiare batteria durante la settimana, ho infatti intrapreso la strada di batteria jazz, andando a lezione da Valerio Abeni (una leggenda nel panorama musicale bresciano, ndr), che ringrazio moltissimo perché è la persona che mi ha permesso di avere delle basi solide nel mio strumento. Dopo questo periodo ho cominciato il triennio in conservatorio, che ho conseguito studiando e lavorando allo stesso tempo; una volta laureato, sono stato preso al conservatorio di Milano per la magistrale nel 2021, arrivando secondo in graduatoria su trenta persone ammesse, una grande soddisfazione dopo il periodo buio della pandemia.

Com’è cambiato il tuo lavoro con l’avvento della pandemia?

Prima del Covid davo la priorità assoluta al fare esperienza. Ero più giovane, avevo bisogno di suonare e di crescere, perciò non ero particolarmente schizzinoso riguardo alle proposte che arrivavano. Nel 2019 ho iniziato a selezionare maggiormente i progetti, e con il congelamento dettato dalla situazione è come se mi fossi trasportato di due anni in avanti, mantenendo la volontà di selezionare le proposte, ma con maggiore responsabilità e consapevolezza, senza poter contare sulla leggerezza mentale che i due anni di transizione avrebbero potuto darmi.
Ora vedo il mio lavoro da un punto di vista differente, più imprenditoriale, perché nel momento in cui diventa tale ne conseguono tutti i classici discorsi relativi, quindi poterne vivere, pagare l’affitto, eccetera. Il covid, quindi, mi ha tolto un po’ questa cosa del diventare grande gradualmente diciamo. Nel 2020 avevo tanti progetti interessanti in programma; l’’anno prima avevo suonato al Primavera Sound di Barcellona, e quello dopo sarei dovuto essere al South by Southwest in America. Le date successive sarebbero state all’interno di un tour europeo, ma è arrivata la pandemia e questo ci insegna, come direbbe il mitico Trapattoni, “don’t say cat if you don’t have the cat in the sac” (ride).
Comunque non mi lamento affatto, per fortuna sono caduto in piedi, e non vedo l’ora di ripartire. Ho la pelle d’oca solo al pensiero.

Ricordo una sera, nell’ormai lontano 2019, dove, al termine di un concerto tenuto da un gruppo divenuto ormai celebre, era previsto da line-up un dj set conclusivo. Il pubblico restò fino alla fine, ballando tutto il tempo, perché sul palco a suonare c’era qualcuno che sapeva il fatto suo. Incuriosito realizzai, non senza stupore, che dietro la consolle c’eri tu. Sei anche Dj quindi?

Si! Ti ringrazio. Ricordo quella serata con molto piacere, pensa che era la prima volta nella quale, ufficialmente, facevo il dj. Avevo fatto altri set in precedenza, perlopiù feste private, ma era ufficialmente il primo.
Da batterista, se suoni prestando tanta attenzione mentre suoni, è una cosa molto naturale. Il nostro mestiere del resto si basa su giri di determinati numeri di battute che si ripetono, ed è sicuramente un elemento a favore. 

Come ti è venuta la passione per questa disciplina?

Come accade spesso tra musicisti, il Djing è una cosa che ho sempre un po’ snobbato. Crescendo ho iniziato ad apprezzare tutte le declinazioni della musica, penso che qualunque genere sia bello se fatto con dedizione e impegno. La spinta decisiva forse me l’hanno data le serate passate a Festa Radio Onda d’Urto 2019. Vedere le persone prese bene dalle scelte musicali dei vari dj, unita al fatto che era un periodo davvero positivo della mia vita, mi ha fatto capire che una bella selezione di canzoni può avere davvero un forte impatto sul pubblico. Cosa smuove nella gente se contamino questo pezzo con quest’altro? Il ragionamento che mi ha spinto è stato un po’ quello.
Quando faccio partire, ad esempio, Walking on a dream degli Empire of the Sun è sempre un momento magico, perché è una hit incredibile, ma se invece provassi ad utilizzare un remix di Alfonso Muskedunder, che è un pezzo tecnicamente complesso e ben più sconosciuto, cosa succederebbe? Ho capito che se il momento è quello giusto, si può creare altrettanto Hype.

Durante i tuoi set, utilizzi spesso anche canzoni pop e indie, che esulano un po’ dai generi classici della disciplina, come possono essere magari brani EDM, Techno o simili. A mio parere, è molto più complesso. 

È vero, e grazie per averlo notato (ride). È più difficile perché i pezzi techno, EDM sono in un certo senso creati per essere mixati, e i loro beat sovrapposti, mentre gli altri no. Anche qui si ritorna al discorso che facevo prima, l’orecchio aiuta moltissimo, soprattutto se sviluppato suonando. Un mix che mi sono divertito moltissimo a fare, ed è un perfetto esempio di questa cosa, è Post Concerto dei Coma Cose con You & Me di Flume. Due pezzi molto diversi, non pensati per essere mixati, ma che uniti si sono rivelati estremamente potenti.
Vuoi sapere i pezzi più difficili da suonare? I pezzi disco anni ’70 originali. Non essendo registrati a tempo, per fare un lavoro fatto davvero bene bisogna trovare all’interno di quelle canzoni le sequenze perfette da sovrapporre.

Hai un sacco di progetti in cantiere. Quali di questi hai all’attivo al momento?

Per quanto riguarda la batteria, gli artisti principali con i quali sono impegnato sono: Elasi, HAN, Chiamamifaro, e See-Maw.
A livello di produzioni invece: Mofw, un ragazzo con il quale mi trovo molto bene e che ho conosciuto tramite Matteo Bresaola, poi sto lavorando con Matilde, la mia ragazza, in arte Plastica, con la quale chiaramente ho un’ottima sintonia e- cosa non scontata – anche dal punto di vista musicale.
Per quanto riguarda il Djing, invece, è una cosa ancora abbastanza fresca per me, ma ho un po’ di progetti in mente ai quali sto lavorando.
Faccio parte di diverse realtà, eterogenee tra loro, perché la musica è una cosa che sento mia, che amo profondamente e ho, di conseguenza, voglia di comunicare nella maniera migliore. In tutto questo, in realtà, sono anche insegnante di batteria.

Tra le date che hai fatto, ce n’è qualcuna che ricordi con maggiore soddisfazione?

Sicuramente il Primavera Sound con HAN nel 2019, e una data che ho fatto a Marsiglia con Elasi, nel 2021, dove le restrizioni erano molto meno rispetto all’Italia e dove ricordo chiaramente di aver respirato, per la prima volta dal primo Lockdown, l’aria di vera normalità.

Hai qualche consiglio da dare ai ragazzi che vogliono inserirsi in questo mondo e magari un giorno diventare professionisti?

Per chi fosse interessato alla carriera da turnista, la prima cosa che mi sento di dire è: siate impeccabili, strumentalmente parlando.
É un lavoro serio, e come tutti i lavori necessità di grande attenzione e professionalità. Se piloti aerei non puoi pensare di non ricordarti i dettagli. È chiaro che l’errore c’è sempre, però bisogna essere sul pezzo. In questo mestiere l’affidabilità è fondamentale, e se vieni ritenuto tale, sarà tutto molto più semplice. In secondo luogo, cercate di essere coraggiosi, perché è una scelta difficile in generale, e richiede tanta, tanta costanza.
Terza cosa, che si lega al discorso del coraggio: proponetevi. Io lo faccio costantemente e tutt’ora capita che gli artisti magari non mi rispondano. Tante collaborazioni sono iniziate così, magari partendo anche da un rifiuto, che poi nel tempo magari si è trasformato in un “mi ricordo che ne avevamo parlato, saresti disponibile ora?”. Aggiungo quindi anche la pazienza, perché appunto i progetti spesso non vanno in porto nell’immediato futuro.
In estrema sintesi: cazzimma, pazienza e speranza.
Se invece volessi fare l’artista ho solo una cosa da dirti: abbi rispetto per i tuoi musicisti.

Prima di salutarci, hai qualche consiglio musicale da lasciare?

Per quanto riguarda l’Italia, in ambito pop, dico Missey, che è bravissima. 
Più verso un’ottica jazz, quasi cervellotica e nerd, Lndfk
Anche Bais e Post Nebbia sono molto bravi e mi piacciono molto ultimamente.

Voglio ringraziare molto Emanuele per questa bella chiacchierata. 
Il suo percorso è la dimostrazione pragmatica di quanto le cose belle arrivino se si ha la pazienza e la volontà di mettere tutta l’energia, costanza e impegno disponibili nei propri obiettivi.

Per citarlo un’ultima volta: “Se non smetti mai di martellare nella maniera corretta, il chiodo, prima o poi, entra”.

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