Networked intimacy: fra desiderio e noia

Dopo aver ripercorso le logiche che muovono piattaforme come Tinder, Bumble e Hinge è importante esaminare fenomeni come il ghosting, il flaking non solo come frutto di scelte individuali. Quanto è complesso trovare un buon compromesso fra desiderio di incontro e salute mentale?

Le ragioni personali che oggi spingono le persone a creare un profilo sulle dating app sono svariate – dalla necessità di intraprendere una relazione interpersonale fino al solo raggiungimento del godimento sessuale – ma c’è qualcosa che le accomuna: l’estrema difficoltà nel trovare luoghi pubblici che permettano l’incontro dal vivo. Qualcuno potrebbe dire che ormai da decenni è difficile estendere la propria rete sociale e conoscere nuove persone faccia a faccia, ma la realtà è un’altra: stiamo attraversando – come sostiene l’autrice Noreena Hertz – il secolo della solitudine, in cui l’abbandono degli spazi pubblici e di aggregazione sociale sembra diventato ormai una costante.

Si pensi anche solo ad azioni quotidiane che oggi – soprattutto nelle città di medio-grandi dimensioni – sono compiute online, come comprare la spesa, compiere attività sportiva o svolgere il lavoro in smart working. O ancora, basti riflettere sulla velocità con cui cambiamo città o su come la (problematica) convinzione secondo cui il lavoro sia fonte di realizzazione primaria incida sulla scarsità di ore a disposizione al di fuori dal contesto professionale. La disgregazione dell’infrastruttura comunitaria costituisce un elemento determinante per l’assunzione di nuovi comportamenti adattivi da parte dei singoli. Il punto è: vogliamo ancora incontrarci ma non sappiamo dove e, sebbene vi sia riluttanza nell’accettarlo, le dating app intervengono quali nuovi spazi pubblici di aggregazione.

Vi sono numerosi paradossi nell’uso delle dating app e uno dei principali è l’evoluzione della dinamica emotiva-relazionale riscontrata dalla maggior parte degli utenti. Inizialmente si attraversa una fase di entusiasmo e frenesia per i nuovi potenziali appuntamenti; molti studi scientifici dimostrano, infatti, come la ricezione di notifiche sulle dating app migliori l’umore e incrementi l’autostima. Il rapporto con le notifiche diventa più o meno gravoso in base all’aspettativa che il singolo ha (o non ha) rispetto all’utilizzo dell’app. Se l’aspettativa si limita alla ricerca di attenzione sociale e/o romantica nel breve periodo, gli stati emotivi dell’utente sono per lo più positivi. Mentre se l’aspettativa muove verso un rapporto interpersonale più sviluppato e, dopo qualche settimana di incontri, non si realizza, si viene raggiunti da sentimenti di disincanto e di tremenda noia. Un’ulteriore componente problematica è che, percentualmente, la probabilità che una conversazione si concretizzi in un appuntamento è molto ridotta (fenomeno che nei match eterosessuali è molto più sentito dagli utenti di sesso maschile).

Illustrazione di Chiara Giudici.

L’utenza procede verso una progressiva disaffezione nell’incontro con l’Altro e, come dicono i ricercatori, si diventa parte di processo umano-digitale in cui si recepiscono – spesso involontariamente – pratiche sociali contagiose. La diffusione di fenomeni come il ghosting, ossia l’interruzione improvvisa da una conversazione e/o un rapporto in corso, e il flaking, vale a dire l’annullamento all’ultimo minuto di un appuntamento, è connessa ad un allineamento comportamentale degli utenti. Per comprendere meglio questi fenomeni si deve ricercare il minimo comune denominatore che spinge i singoli ad iscriversi sulle dating app: la fatica strutturale dell’incontro ai ritmi di oggi. È questa fatica ad incentivare l’utilizzo delle piattaforme di incontro digitale ma, se le app vengono utilizzate eccessivamente, è questa stessa fatica a determinare perdita di eccitazione e incremento della noia. Lo sfinimento emozionale fa sì che gli utenti si limitino a sforzi ridotti negli scambi testuali che, difatti, diventano spesso monotoni. Gli studi mostrano quindi come chi subisce ghosting e flaking venga catturato in circolo vizioso, dove diventa nuovo autore di messaggistica standardizzata e poco stimolante. 

Ma quindi, esclusi i fortunati e le fortunate che riescono ad allontanarsi dalle dating app prima che questo processo controproducente prenda il sopravvento, chi trae vantaggio dall’uso compulsivo – e perché no disperato – di realtà come Tinder, Bumble ed Hinge? Per rispondere bisogna prima chiarire che oggi la raccolta dei dati è una forma immensa di capitale, tanto da essere in grado di condizionare i modelli di business e l’organizzazione politico-sociale. I teorici del data driven-capitalism (capitalismo basato sui dati) ritengono che gli stati d’animo e i comportamenti negativi enunciati mostrino le modalità con cui il profitto entra nelle tasche delle piattaforme. Infatti vi è una tendenza comune negli utenti delusi: sospendere l’utilizzo delle dating app per qualche settimana di pausa per poi riattivarle perché ritenute unico mezzo di incontro emotivo e sessuale.

Ci stupiamo? In una certa misura sì se, oltre al problema della noia, approfondiamo ulteriori ricerche sulla networked intimacy che evidenziano come vi sia un problema aggiuntivo che rende più vulnerabile l’utenza nel lungo periodo: la sovrabbondanza di possibilità di date. Infatti, l’accesso ad un numero indefinito di persone stimola fortemente gli utenti ma al contempo li disorienta perché impone al desiderio un ritmo accelerato. Nello scorrere ininterrotto dei profili ci si accerta fin da subito come ci siano sempre profili migliori rispetto a quelli matchati. Il desiderio dell’utente si trova scaraventato in una condizione iper-consumistica e, se in un primo momento l’utente utilizza i propri parametri individuali per selezionare possibili partner, a lungo andare cede a comportamenti ed esigenze che non gli appartengono, ma che rispondono unicamente ad un nuovo contesto di sovrastimolazione. La produzione isterica di desiderio altera il rapporto con sé stessi e con l’Altro.

Illustrazione di Chiara Giudici.

Questo sistema – se gli esiti degli incontri continuano ad essere infruttuosi – non può che incidere sull’umore e sull’equilibrio psicologico dei fruitori delle dating app. I risultati degli studi sul punto sono inequivocabili: vi è una correlazione significativa fra l’utilizzo delle piattaforme e livelli elevati di disagio psicologico con sintomi ansiosi e depressivi. In particolare, gli utenti che usano le dating app per più di un anno e con una periodicità quotidiana manifestano tassi di malessere psicologico significativamente più elevati ed intensi.

Alla luce di tutti questi risultati – di cui spesso si parla fra fruitori ma non su larga scala – è evidente come la salute mentale degli utenti sia un elemento da tenere meglio in considerazione nel momento in cui si sceglie di usufruire dei servizi di dating online. Il che non significa biasimare chi le utilizza – chi scrive è stata utente – ma essere consapevoli della loro abilità di addestrare il nostro desiderio e di condizionare il nostro benessere psichico. Quindi, piccolo accorgimento: se è vero che ghosting e flaking sono pratiche sociali contagiose, nel momento in cui ci si rende conto di starle alimentando è bene interrompere l’uso delle app. D’altronde in questo modo ci si guadagna in salute mentale – con meno guadagno per chi progetta e dirige piattaforme di dating app scegliendo, ancora, di non sensibilizzare correttamente la propria utenza.

Avvertenza: con questo articolo in due parti non si vuole, in alcuna misura, stigmatizzare l’utilizzo delle dating app perché, oltre che essere un atteggiamento superficiale, non permetterebbe un’analisi obiettiva sulla partecipazione di queste alla trasformazione delle dinamiche relazionali e, quindi, individuali di oggi.

Immagine di copertina: Illustrazione di Chiara Giudici.

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