
Sono nato in Trentino e, quando mi presento per la prima volta a chi non conosce bene la nostra provincia, capita spesso di incorrere in alcune domande: “parli il tedesco?”, “vivi in montagna, quindi?”, “fa tanto freddo?”. La risposta a queste domande è, per quanto mi riguarda, sempre negativa: purtroppo non conosco il tedesco, vivo in una città (Trento) e l’estate, qui, fa un gran caldo. Insomma, disattendo – sempre – le aspettative dell’interlocutore. Sia chiaro: le domande non mi disturbano, non sono sciocche e credo che siano dovute all’immagine che il Trentino dà di sé e che i trentini stessi vogliono dare di sé.
Negli ultimi decenni il Trentino, infatti, ha fatto del turismo una delle sue principali attività economiche; ecco – quindi – che la narrazione del territorio è diventata importante. Capita, sfogliando quotidiani come il Corriere della sera, di incorrere in intere pagine pubblicitarie dedicate alle montagne del Trentino; queste rappresentano la vita di montagna molto più simile al cartone animato Heidi che alla realtà: pascoli incantati, ruscelli e animali selvatici. Io credo che, negli anni, sia gli autoctoni che i turisti siano diventati vittime di questa narrazione o, più precisamente, di questo marketing. Negli ultimi mesi mi è capitato di vedere un film e leggere un libro che, con coraggio, fanno emergere un’altra immagine del Trentino, dell’Alto Adige e – più in generale – della vita di montagna, di quella che potremmo chiamare provincia montana.
Il film “Rispet” di Cecilia Bozza Wolf (trentina, classe ‘89) è in dialetto, girato con attori non sono professionisti. Bozza Wolf mette in scena una vita in valle dominata dalla violenza e dalla cupidigia (l’attaccamento al denaro come unico possibile legame familiare); i valligiani sono vittime del cosiddetto rispet, termine dialettale che indica sia il “rispetto” che la “vergogna”. Ad esempio, nel film, un amore omosessuale non può essere vissuto perché intaccherebbe il rispet delle famiglie coinvolte. Insomma, se i depliant pubblicitari rappresentano la montagna come incantata, Bozza Wolf ne offre una versione maledetta.
Casualmente, qualche settimana dopo la visione di Rispet, ho letto il romanzo “Il velo” di uno scrittore bolzanino – Flavio Pintarelli, classe ‘83 – con protagonista un giovane copywriter bolzanino che lavora proprio in quelle agenzie di comunicazione che esaltano una certa immagine di territorio. Agenzie che, agli occhi del protagonista, altro non sono che un “aberrante laboratorio in cui viene sintetizzata l’unica immagine possibile della mia terra capace di circolare al di fuori dei miei confini: benessere, efficienza e melensi stereotipi alpini da cartolina”. Il libro è ricco di spunti interessanti: cerca di levare il velo dietro cui si nascondono le complessità dei territori di montagna.

Vivere in montagna non è sempre facile: ci sono sia difficoltà oggettive (la lontananza dalle città, l’assenza di infrastrutture, il freddo) che culturali-sociali. Il Trentino, ad esempio, ha un tasso di suicidi tra i più alti d’Italia. La tendenza, spesso, è quella di evitare i problemi anziché affrontarli o, più semplicemente, ammettere che esistano.
Pare che nei territori alpini i libretti di marketing turistico abbiano avuto più successo tra gli autoctoni che tra i turisti: si abdica a qualsiasi autocritica e messa in discussione dello status quo, facendo sempre riferimento a quella che Pintarelli chiama “spocchia da primi della classe”. L’ossessione per le classifiche tra città è sintomo di questa “spocchia”: laddove si evidenzia un problema, si citano queste classifiche sulla vivibilità. La mia impressione è che, nella provincia di montagna, ci sia la tendenza a concentrarsi solo su quanto c’è di buono (e – è bene dirlo – sono tanti gli aspetti positivi). È ovvio (ed è un bene) che il marketing turistico segnali quanto di buono ci sia in montagna (in valle si può vivere felicemente). Questa narrazione non può, però, essere la sola: è necessario cogliere le complessità, le contraddizioni di un territorio non sempre facile. I lavori di Pintarelli e Bozza Wolf sono preziosi: finalmente, anche qui, c’è una narrazione diversa (che non per forza è quella esatta).
Sono certo che i turisti continueranno a chiederci se parliamo il tedesco e va bene così: chissà quante sciocchezze io do per scontato a proposito di altri luoghi. Auspico – però – che tra di noi, in Trentino, si cominci a porre delle domande che vadano oltre le circostanze, che cerchino di andare oltre il velo dietro cui – molto spesso – nascondiamo le nostre miserie.
Immagine di copertina: Illustrazione di Ilaria Malfer.