
Per tre mesi il Museo di Santa Giulia di Brescia ospiterà «La Cina non è vicina», prima mostra italiana di Badiucao, artista dissidente che, tramite le sue opere, intende smascherare il comportamento del governo cinese in tema di diritti umani (qui tutti i dettagli).
E voi alzate gli occhi al cielo e dite: «Ok, l’ennesimo artista che ha sacrificato la propria libertà in nome dell’uguaglianza… e allora?!». Perché lo so, che avete paura di quei racconti che vi facevano a scuola (o a catechismo), infarciti di morale e romanticismo, destinati a spronarvi a combattere i vostri limiti e liberare il vostro potenziale inespresso.
No, tranquillə, stiamo solo ragionando su questa mostra.
Chi dice che a Brescia non succede nulla?
A mettere un po’ di pepe in questa storia è un simpatico aneddoto che vede protagonisti il Comune di Brescia e la Repubblica popolare cinese (che è pure finito sul New York Times, qui).
Circa un mese prima dell’inaugurazione si era tenuta la presentazione ufficiale della mostra al Palazzo della Loggia, sede del Comune di Brescia, che patrocina l’evento. Di lì a poco, il Comune aveva ricevuto una lettera dall’Ambasciata cinese in Italia, che esprimeva «forte insoddisfazione per l’organizzazione della mostra menzionata» e chiedeva al Comune di cancellarla.
Il motivo?
«Le opere in mostra sono piene di bugie anti-cinesi, distorcono i fatti, diffondono false informazioni, fuorviano la comprensione del popolo italiano e feriscono gravemente i sentimenti del popolo cinese mettendo in pericolo le relazioni amichevoli tra Cina e Italia.»
Senti, senti!
Tuttavia, la Loggia e Fondazione Brescia Musei non hanno ceduto di un millimetro e, nonostante ne sia nato un caso diplomatico (o forse proprio per questo?), la mostra è stata portata avanti come previsto.
Se voleste approfondire, questo articolo saprà soddisfare la vostra curiosità.

Ma chi è Badiucao?
Nato nel 1986, è cresciuto a Shanghai, dove ha anche cominciato gli studi universitari in legge. Decide di dedicarsi all’artivismo (avete letto bene, ne parliamo tra poco) dopo aver visto il documentario clandestino The Gate of Heavenly Peace sulla strage di Piazza Tienanmen del 1989. Né lui né lə amicə avevano mai sentito parlare della vicenda o delle proteste di quegli anni – d’altronde il Golden Shield cinese censura i pezzi di storia troppo scomodi – e quella visione gli scombina ogni progetto di vita.
A ventitré anni emigra a Melbourne, Australia, dove per anni lavora sotto lo pseudonimo di Badiucao, presentandosi con una maschera agli eventi pubblici, a causa delle minacce ricevute per il suo lavoro. Predilige Twitter (@badiucao) come mezzo principale di resistenza.
Nel 2018 si trasferisce a Berlino per lavorare come assistente del mitico Ai Weiwei… e proprio qui viene smascherato, nientemeno che da un collega-assistente dello stesso studio. Questo avvenimento, insieme all’ennesima minaccia giunta alla sua famiglia, porta Badiucao a cedere e mostrare il viso.
Nei suoi lavori tratta una grande varietà di tematiche sociali e politiche, dalle proteste di Hong Kong del 2019-2020 alle condizioni di vita della città di Wuhan all’inizio della pandemia di Covid-19. Le sue opere sono state utilizzate da diverse organizzazioni non-profit impegnate nella difesa dei diritti umani.
Il linguaggio di Badiucao
È fatto di immagini immediate, comprensibili anche da chi non ha una conoscenza profonda della storia o della società cinese. La serie di stampe Beijing 2022, ad esempio, è un’opposizione alla scelta di Pechino quale sede dei Giochi olimpici invernali del 2022: ospitare un evento così importante dà alla Cina l’occasione di auto-celebrarsi sotto tutti gli aspetti, compreso quello di estremo controllo delle forme di espressione e dei contenuti.
Il coinvolgimento attivo del pubblico è una caratteristica del lavoro di Badiucao, che personalmente apprezzo in modo particolare, perché la trovo coerente con l’urgenza del suo messaggio. La performance del Tank Man nel 2018 ha portato migliaia di persone a postare su Twitter una fotografia che ritraeva se stessi come cosplayer del famoso Uomo del Carro Armato, simbolo delle proteste in Cina dal 1989. Anche in mostra possiamo trovare un’opera di questo genere: in Mirror si vede un lavabo sovrastato da numerosi specchi, sui quali sono incollate le maschere con cui l’artivista si è coperto il volto per anni. L’intento è quello di rappresentare tramite oggetti un vissuto autobiografico, ma, nel momento in cui si specchia, anche lə visitatorə diventano parte dell’opera, aprendo una riflessione intima – magari – sulle maschere che si portano ogni giorno o sulle occasioni in cui ci si è sentiti in obbligo di censurarsi.

Artivismo
Trasparenza, immediatezza, impegno sociale: sono tre attributi fondamentali del linguaggio di Badiucao e lo collocano nel mondo dell’artivismo. Questo termine, che unisce i termini “arte” e “attivismo”, è in uso dagli anni Novanta e indica le espressioni artistiche con un esplicito contenuto sociale. È un’evoluzione dell’Arte Politica (quella di Eugéne Delacroix o di Francisco Goya, per intenderci. Qui ci sono spunti interessanti) nella misura in cui essa agisce nelle strade e in Internet.
Siete già andatə alla mostra? Scrivete le vostre impressioni a echoraffiche@gmail.com!
E se non l’avete ancora vista, beh, cosa aspettate?!?
Immagine di copertina: Badiucao, Tank Man performance, 2021, Brescia, Museo di Santa Giulia.