
Immagina: stai con una persona che ami. È una relazione bellissima, seria e felice. Un giorno però, ti invaghisci di un’altra persona. Ti dici che è solo una stupida cotta, ma non puoi fare a meno di continuare a pensarci, a sorridere quando la vedi e a provare tutte le altre stupide emozioni dell’innamoramento. Ciò che provi ti sembra sbagliato? Magari ti senti in colpa e ingiustə nei confronti della persona con cui stai. Ti sembra che quest’infatuazione metta a repentaglio la tua relazione, perché non puoi amare due persone contemporaneamente.
Ma in che senso non puoi? Non è un non potere nel senso di essere incapaci di “amare” due persone contemporaneamente: anche se su due livelli affettivi diversi – l’amore per la prima persona è certamente più profondo, mentre la cotta la senti come più leggera, effervescente – è proprio ciò che sta succedendo. Ti sembra di non potere, nel senso che non è previsto che accada. Anche tu hai interiorizzato l’implicito assunto che l’amore vero sia esclusivo, totalizzante e monogamo.
Nella nostra società, una relazione amorosa “normale”, standard, è quella tra due sole persone, che tendenzialmente culmina nel matrimonio. Possiamo chiamare “mono-normatività” l’agglomerato di aspettative su cosa significhi stare insieme in cui si dà per scontata la monogamia. Questo modello è spesso rappresentato – e di rado problematizzato – nei prodotti culturali mainstream (film, canzoni, romanzi) e informa la struttura giuridica ed economica dello stato (pensiamo ai sussidi, ai mutui, alla conformazione degli appartamenti), oltre che le nostre implicite credenze sull’amore.

Modelli alternativi sarebbero le relazioni aperte, lo scambismo, il poliamore. Queste forme relazionali mettono in discussione l’idea che la “persona giusta” sia una e la stessa per sempre, e riconoscono che un legame amoroso possa coesistere con altri rapporti. Nelle relazioni aperte questi sono di natura solamente sessuale, nel poliamore, invece, no. Le relazioni aperte sono di solito costituite da una coppia attorno a cui ruotano, come satelliti, rapporti di minor importanza. Il poliamore rifiuta invece di gerarchizzare gli affetti e contempla la possibilità di avere relazioni profonde con più persone allo stesso tempo.
“Ma non sono gelosi?” Sì, tendenzialmente all’inizio sì. Ma chi si imbarca nel poliamore lo fa consapevolmente. Fondamentale è infatti che tutte le parti coinvolte siano informate e d’accordo – per questo si parla di “non monogamie etiche o consensuali”. Sfatiamo subito l’idea che le non monogamie etiche siano più superficiali e meno impegnate delle relazioni esclusive: al contrario, richiedono tanta onestà intellettuale, comunicazione e ascolto reciproco. Proprio per il lavoro emotivo che serve nel gestirle, queste esperienze amorose atipiche offrono l’occasione per decostruire le aspettative e le pretese di solito implicite nelle relazioni standard, e lavorare su se stessi. (Di più su questo nella seconda parte.)
Non siamo sempre stati monogami
Oltre al lavoro personale a livello psicologico, è utile anche un po’ di storia. Comprendere quali dinamiche socio-culturali abbiano generato il modello standard di relazione amorosa ci aiuta a liberarci dall’illusione che la monogamia sia la conformazione naturale delle relazioni – e quindi la più giusta o addirittura l’unica possibile.
In passato, il matrimonio era considerato prima di tutto per la sua funzionalità. I matrimoni erano organizzati dalle famiglie per ragioni economiche e per cementificare alleanze politiche. La società antica e medievale, riconoscendo che i sentimenti sono spontanei e volatili, sganciava la necessità pratica di unioni stabili e durature dalla fluidità dei sentimenti. Pertanto, i matrimoni non implicavano l’amore.

Come spiegano Beck e Beck-Gernsheim, fino al XIV secolo le relazioni extra-coniugali (per gli uomini) erano tollerate e non ostracizzate. Avere una o più amanti era consentito perché ciò non turbava l’ordine sociale, assicurato dai matrimoni, ma anzi contribuiva a rafforzarlo, consentendo di dar seguito alle pulsioni sessuali e amorose, volubili ed effimere, al di fuori del matrimonio.
“L'amore non era la stessa cosa dentro e fuori il matrimonio, un fatto che tendeva a stabilizzare entrambe le situazioni. Il matrimonio non era costantemente minacciato da emozioni instabili e l'amore era protetto dal dover pensare in termini di permanenza e genitorialità.”
La nuova trinità: sesso, matrimonio e amore
Con la scomparsa dei matrimoni combinati, però, tutto cambia. Nell’Ottocento, con l’ascesa del culto dell’individuo, le persone diventano libere di scegliere chi sposare. Sorge l’aspettativa che ciò avvenga per amore. Tuttavia, nonostante la fascinazione dei borghesi per il “puro amore” – il segno di una soggettività indomita, esemplificativa dello Zeitgeist individualista dell’epoca – non tutti potevano sposarsi solo per sentimento. Di sicuro, non le donne.

All’epoca infatti, non potendo lavorare, esse non avevano modo di mantenersi da sole. Sposare un uomo era ancora l’unico modo che avevano di assicurarsi uno standard di vita decente. Ma non avendo ricchezze proprie, potevano offrire agli uomini solo una cosa per convincerli a condividere le loro risorse economiche: l’accesso al loro corpo. Il sesso viene dunque relegato all’interno del matrimonio, diffondendo una mentalità puritana, e fuso con l’aspettativa dell’amore romantico, da trovarsi in una persona sola e per la vita.
Il matrimonio non è più un mero scambio di proprietà economica; diventa uno scambio di proprietà economica per proprietà sessuale. Su questa struttura socioeconomica, viene elaborata la sovrastruttura ideologica dell’amore per celare e giustificare lo scambio di proprietà che era ancora, prosaicamente, al cuore del matrimonio.

E poi?
Oggi, le donne hanno conquistato la possibilità di essere economicamente indipendenti, e hanno molto meno bisogno di confinare il sesso al matrimonio. Non a caso, la liberazione sessuale di fine anni ‘60 è andata di pari passo con le lotte per l’emancipazione femminile. Tuttavia, la monogamia è ancora la norma, e al cuore dell’esclusività permane il retaggio culturale del possesso, ammantato di romanticismo. Quanto questo modello incrementa la tendenza alla gelosia? E cosa può insegnarci il poliamore a riguardo? Per scoprirlo, appuntamento alla prossima puntata.
Immagine di copertina: Illustrazione di Giulia Cutrera, @syndiicat.