La figura stilizzata di un uomo getta una piattaforma petrolifera in miniatura in un secchio dei rifiuti indifferenziati

Il depistaggio delle compagnie petrolifere

Come i produttori di combustibili fossili hanno provato a scrollarsi di dosso le colpe dei cambiamenti climatici.

Nel dibattito sulla crisi ambientale spesso emerge una contrapposizione di interessi fra gli enti privati, la collettività e il singolo cittadino. L’individuo è visto in maniera ambivalente. Da un lato, appare come una frazione piccola e impotente di un intero caotico e incontrollabile. Dall’altro, è considerato responsabile di azioni che, sommate l’una all’altra, vanno a comporre quello stesso intero. 

In questo panorama intellettuale e politico, le aziende hanno spesso fatto uso della confusione che aleggia intorno alle responsabilità delle parti coinvolte, per portare avanti i propri interessi. 

Intravista la minaccia del riscaldamento globale, molte compagnie petrolifere ritennero infatti necessario introdurre messaggi tranquillizzanti nelle proprie campagne di comunicazione. Altre provarono a scuotersi di dosso eventuali accuse di colpevolezza per i danni ambientali, spostando la responsabilità sugli individui.

Benjamin Franta, un ricercatore americano, ha pubblicato nel 2018 sulla rivista Nature un lavoro che indaga la disinformazione diffusa, per esempio, dall’American Petroleum Institute, mettendo in evidenza come già negli anni Ottanta il pericolo del cambiamento climatico veniva ridimensionato nella comunicazione rivolta al pubblico.

In quegli anni le aziende petrolifere erano già al corrente dei rischi relativi al riscaldamento globale. Gli studiosi sapevano che l’anidride carbonica, prodotta dalla combustione dei prodotti petroliferi, può accumularsi nell’atmosfera, innalzando le temperature. Secondo il Global Carbon Project, le emissioni sono aumentate di anno in anno, ma già negli anni ’70 la combustione di carbone e petrolio produceva annualmente fino a 15 miliardi di tonnellate di CO2.

In primo piano una ragazza tiene un cartello che recita “Be a part of the solution not a part of the pollution”, sullo sfondo altri giovani manifestano per il clima.
Giovani manifestanti dell'associazione ambientalista Fridays for Future a Zagabria
Credits: Pixabay

Probabilmente le aziende petrolifere erano anche consapevoli della nuova ascesa dell’ambientalismo, innescata dalla pubblicazione di Primavera silenziosa di Rachel Carson, e ritennero di dover ridimensionare la preoccupazione del pubblico per la nuova minaccia del riscaldamento globale. 

L’American Petroleum Institute nel 1968 apprese che la produzione di combustibili fossili avrebbe potuto causare cambiamenti nelle temperature e nei climi, nonché danni all’ambiente e agli ecosistemi. Attuarono allora una serie di misure per celare la crescente preoccupazione della comunità scientifica. Ad esempio, la stessa azienda sostenne che lo scienziato Carl Sagan era ottimista sulla questione delle emissioni di anidride carbonica. In realtà, citarono un articolo nel quale lo studioso affermava che la desertificazione e il disboscamento di cui si sono rese colpevoli le società umane potrebbero avere abbassato la temperatura della Terra di circa un grado. Nel pezzo, tuttavia, Sagan non aveva affatto sostenuto che il riscaldamento globale non fosse un pericolo.

Svariati sono i casi di questo tipo. Altri due studiosi americani, Naomi Oreskes e Geoffrey Supran, hanno analizzato in un lavoro pubblicato su One Earth le strategie comunicative della ExxonMobil, precedentemente chiamata Humble Oil. Anche questa azienda era consapevole dei danni dovuti alla combustione petrolifera. Una inserzione del 1962 recita: «Ogni giorno Humble distribuisce abbastanza energia da sciogliere 7 milioni di tonnellate di ghiacciai».

Poi, quando la paura della crisi climatica si era ormai diffusa, la Exxon fu costretta cambiare strategia, promuovendo nelle sue campagne pubblicitarie l’idea che il riscaldamento globale non fosse un pericolo imminente. Secondo gli studiosi, infatti, la ExxonMobil iniziò a utilizzare la parola «rischio» in virtù della propria ambiguità semantica. Sottolineare la potenzialità consente infatti di evitare di soffermarsi sulla realtà della crisi climatica, pur senza negarla, mantenendo una posizione ambigua e ponendo l’accento sull’incertezza della scienza

Sullo sfondo una strada trafficata, una scritta recita: “Offset your travel emissions”. In alto a sinistra il logo BP Target Neutral
La sezione “Target neutral” del sito della BP. L’azienda riporta di avere aiutato migliaia di persone a ridurre il proprio carbon footprint, insegnando loro come compensare le emissioni che hanno causato.

L’importanza dei concetti divulgati dalle aziende petrolifere è esemplificata dal caso BP, un tempo come British Petroleum Company. Nel 2004 l’azienda creò il primo “carbon footprint calculator”, uno strumento per misurare i gas serra generati dalle nostre azioni quotidiane. Molti interpretano questa decisione come un tentativo della BP di spostare la responsabilità della crisi climatica sugli individui, mirando a ripulire la propria immagine, annerita negli anni da coltri di fumo e macchie di petrolio.

Tale iniziativa fu certamente un successo. Tuttavia, nonostante pianifichi di raggiungere l’agognato net-zero entro il 2050, la BP nel 2018 ha investito solo il 2,3% del proprio budget sulle energie rinnovabili e ha comprato giacimenti petroliferi in Texas per più di 10 miliardi di dollari. Dal canto loro, i consumatori sono stati indotti a studiare le proprie azioni quotidiane, misurando le proprie colpe a danno dell’ambiente naturale.

Le compagnie petrolifere potrebbero avere ricoperto un ruolo fondamentale nella comunicazione della crisi climatica, influenzando i consumatori, il pubblico e la società tutta. Ciò risulta allarmante specie se si considera il folto numero di delegati presenti alla COP26 in rappresentanza delle aziende produttrici di combustibili fossili. Secondo alcuni attivisti, la protezione dell’ambiente non è compatibile con gli interessi economici delle compagnie petrolifere. «Ci sono state ventisei Conferenze delle Parti,» ha sostenuto Greta Thunberg, «ma loro continuano a costruire nuove infrastrutture per le fonti fossili, ad aprire nuove miniere di carbone e a non pagare i danni ai paesi colpiti. È vergognoso».

Dal canto loro, i consumatori sono costantemente richiamati all’impegno individuale, esortati a comprare un’auto elettrica e a praticare la raccolta differenziata. Per quanto queste misure abbiano una certa efficacia, ognuno di noi contribuisce solo per una piccola parte a un insieme molto grande. In questo momento storico, non possiamo dimenticare che la chiave per il cambiamento non è custodita dagli individui, ma dalla collettività, da un intero che forse non è così caotico e incontrollabile.

Immagine di copertina: Illustrazione di Orsola Sartori.

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