
Durante il regime nazista , tutte le forme d’arte, dalla scrittura all’architettura, diventano i bersagli più sensibili su cui concentrare il controllo, in quanto pericolose manifestazioni di libertà espressive che la dittatura non tollerava al di fuori di certi schemi, specialmente se gli artisti in questione erano di religione ebraica. È così che tantissimi rappresentanti della cultura contemporanea, come i pittori, i drammaturghi, i musicisti, gli architetti del Bauhaus, sono messi al bando, mentre i libri degli scrittori invisi al regime, perché contrari al suo ideale totalitario, vengono dati alle fiamme nella fatidica notte del 10 maggio 1933 nella Opernplatz di Berlino (Heinrich Heine: «là dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini»). A far da cornice al clima di distruzione e di oppressione antisemita, nel 1938 è la mostra allestita a Berlino sull’arte “degenerata” dove l’umiliazione e la devastazione diventano protagoniste: di fianco alle tele degli artisti ebrei vengono appesi disegni degli internati degli ospedali psichiatrici, creando un parallelo disturbante e disorientante nelle migliaia di visitatori accorsi ad assistere. I nomi degli “artisti degenerati”, tra i più illustri della pittura del Novecento – tra questi Kandinskij, Chagall, Mondrian, Ensor … – vengono emarginati e perseguitati, cosicché l’addio alla libertà del genio artistico è messo in moto.
Ed è proprio in questi anni e in questo tragico scenario che una giovane ragazza ebrea della borghesia berlinese di nome Charlotte Salomon decide, nonostante tutto, di avvicinarsi all’arte con il desiderio di diventare essa stessa un’artista.
Charlotte nasce il 16 aprile 1917 a Berlino in un’agiata famiglia ebrea. Il padre Albert Salomon, rinomato chirurgo e professore universitario, si risposa in seguito al suicidio della moglie, Franziska Grunwald. Charlotte ha soli nove anni quando la madre decide di porre fine alla sua vita lasciandosi precipitare da una finestra, ma imparerà ad amare la nuova matrigna, il contralto di fama Paula Lindberg, anch’essa ebrea, che sarà per la piccola un elemento di conforto e di affetto negli anni più delicati dell’adolescenza e che le aprirà l’orizzonte alla musica e al canto, facendola appassionare al mondo delle arti.
Ma la guerra alle porte e la strada sempre più spianata verso i campi di sterminio e le persecuzioni antisemite – a seguito delle leggi di Norimberga del 1935 – impediscono alla giovane berlinese di vivere serenamente l’adolescenza e di sperimentare le sue doti artistiche in libertà. Preoccupati dalla crescente ostilità del regime, i coniugi Salomon decidono di far partire la figlia per l’Italia facendola soggiornare dai nonni materni. È durante questa breve parentesi che Charlotte conoscerà i capolavori del Rinascimento, in particolare l’opera di Michelangelo, La creazione di Adamo, nella Cappella Sistina, che la giovane contempla rapita e da cui trarrà profonde riflessioni.
Il sempre più incombente fantasma della morte che adombra l’Europa dell’epoca, si riflette agli occhi di Charlotte in un’altra opera dell’artista, il Giudizio Universale, dove corpi nudi e muscolosi, di una bellezza unicamente umana, svettano elegantemente in un ciclo di vita e morte con il quale paragonare il suo presente più cruento e sanguinario. È a seguito di questo viaggio, dunque, che Charlotte comprende l’esistenza «di un’altra forma di vita», ossia l’arte, grazie alla quale è possibile mettere ordine il flusso caotico degli eventi quotidiani.

Tornata in patria, Charlotte decide così di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Berlino, dove riesce ad entrare come unica studentessa ebrea – essendo figlia di un ex combattente e soprattutto perché dotata di grande talento. Seguirà i corsi del professor Ludwig Bartning, che ne ammira le doti artistiche e la difende dalle umiliazioni riservate agli ebrei, permettendole in questo modo di proseguire negli studi. Nel 1937 viene indetto il concorso dell’Accademia di Belle Arti per il miglior dipinto, premio che, senza ombra di dubbio, spetta alla giovane Salomon, ma che, essendo ebrea, sarà impossibilitata ad ottenere venendo dirottato su un’altra allieva. Charlotte comprende così che non c’è futuro nel proseguire gli studi in questo clima di distruzione, razzismo e paura, specialmente in quell’anno in cui si allestisce la mostra sull’ “arte degenerata”: decide pertanto di interrompere gli studi all’Accademia proseguendo la sua carriera in autoformazione.

Anno dopo anno, la paura cresce e la famiglia Salomon decide che è ora di mettersi in fuga. I due coniugi scapperanno e sopravviveranno, in Olanda, mentre Charlotte raggiungerà i nonni materni a Villefranche-sur-Mer, in Costa Azzurra, una località apparentemente amena e “lontana” dagli orrori della Germania.
È in questo luogo che Charlotte concepisce la sua “creazione”: Vita? O Teatro? Un’opera in musica (Leben? Oder Theatre? Ein Singspiel).
Con questa raccolta, composta da 800 gouaches – tempere rese tramite l’uso di colori a legame gommoso caratterizzate dal tratto delicato ed espressivo –, Charlotte desidera dare forma e ordine alla sua esistenza narrando, attraverso illustrazioni che ricordano lo storyboard cinematografico, i momenti più salienti della sua vita in parallelo agli avvenimenti dell’ascesa del nazismo. Compie questo progetto in modo inedito per l’epoca, anticipando lo stile della graphic novel e realizzando un’opera difficile da iscrivere ad un unico genere, poiché comprendente tre livelli dell’espressione artistica: la scrittura, la pittura e la musica, presente in modo wagneriano, sotto forma di intermezzi musicali accennati in fondo alle pagine. Non è un caso che, in quegli stessi anni, Marcel Duchamp crea la sua prima Bôite-en-valise (scatola in valigia), che contiene tutta la sua opera artistica in miniatura, rendendo nuovo il concetto di opera d’arte.

Charlotte, dunque, da vita ad una vera e propria Gesamtkunstwerk, ovvero un’opera d’arte totale, che completa in meno di due anni (1941- 1942), che dedica all’amica americana Ottilie Moore e che consegna, in tre pacchi sigillati, all’amico fidato Georges Moridis, prima di venire deportata, il 7 ottobre 1943, con il convoglio numero 60, ad Auschwitz dove verrà uccisa nelle camere a gas. Charlotte ha ventisei anni ed è incinta di cinque mesi.
La sua è una vita piccola e fragile, che riesce però a divenire faro di resistenza alla brutalità della guerra, tramite la salvezza dell’arte, che, quando il presente si trasforma in inferno, diventa diario, immagine e musica del suo divenire.
Oggi, se si vogliono incontrare Charlotte e il suo diario illustrato, li si trova allo Joods Historisch Museum di Amsterdam, ed è anche possibile visualizzare l’opera integralmente al link: https://charlotte.jck.nl/.

Immagine di copertina: Illustrazione di Andrea Pizzo.