Illustrazione che ritrae astrattamente l'odio sul web
Instagram e Facebook, nel disinteresse generale, hanno aperto ai post di “incitamento all’odio” nei confronti dei soldati russi e di Vladimir Putin. Decisione giusta o pericolosa?

Facebook e Instagram, da circa una settimana, consentono, limitatamente ad alcune nazioni, la pubblicazione di “messaggi d’odio” nei confronti dei soldati russi e del loro presidente Vladimir Putin. In tutta risposta la Russia ha bloccato da lunedì 14 marzo l’accesso ai due social media, definendoli “piattaforme estremiste che incitano all’odio nei confronti del popolo russo” e ponendo dunque il loro fondatore in stato d’accusa. La notizia, seppur marginale, dato che rientra nel grande mare magnum della propaganda bellica, merita comunque una riflessione, dato che si sta parlando di uno dei motori del mondo, ovvero “l’odio “. 

Due premesse

Prima però di provare a spiegare il mio punto di vista, mi toccano alcune premesse, al fine di non passare per filo-putinista e di conseguenza aver torto a prescindere: non è mia intenzione giustificare in alcun modo l’invasione dell’Ucraina e spero tutti i giorni che si arrivi a un cessate il fuoco. In un mondo normale tutto ciò non sarebbe nemmeno da specificare, ma ora si ragiona per buoni e cattivi o per aforismi alla ricerca di quattro mi piace, quindi meglio esser chiari. Tornando a monte, non è la prima volta che i due social decidono di deviare dal loro stesso regolamento: l’anno scorso, secondo Vice, era arrivata istruzione di lasciar passare messaggi d’odio nei confronti della guida suprema dell’Iran Ali Khamenei. Inflessibili nel piegare le reni ad opere d’arte con nudità, ma alquanto lascivi quando si tratta di bastonare i nemici pubblici dell’occidente. Queste “libertà poetiche” delle Big Tech rivelano il bias ideologico insito in quelle che dovrebbero essere mere entità economiche. 

Creare un nemico

Le storture sono evidenti a chiunque cerchi di andare oltre la solita “reductio ad Hitlerum” che va tanto di moda in Tv, citando completamente a capocchia la resistenza al nazifascismo, che i partigiani fecero cooperando con gli angloamericani che risalivano l’Italia. Elogiare il battaglione Azov ad esempio, che si rifà all’immaginario e all’ideologia neonazista, in altri tempi sarebbe stato censurabile, ma siccome ora coopera con l’esercito ucraino, improvvisamente è diventato buono pure lui. E Lukashenko, dittatore bielorusso? Collabora con la Russia, è amico di Putin: si può quindi odiare pubblicamente oppure no? Allargando il discorso, si può augurare la prematura dipartita del leader di uno stato, Bin Salman, che in un solo giorno ha condannato 83 persone a morte o è un tiranno di serie B? Tralascio poi, per carità di patria, le sanzioni alle squadre russe escluse dalle coppe europee o agli sportivi russi costretti a giocare senza vessillo, oppure la polemica di qualche settimana fa sul corso all’università Bicocca riguardante Dostoevskij, che sarebbe dovuto diventare “inclusivo “con anche autori ucraini, o infine la pubblica abiura riguardo le azioni di Putin richiesta dal sindaco Sala al direttore d’orchestra della Scala. Davvero essere russi è diventata una colpa?

Medvedev-pace-credits. Rai sport.
Danil Medvedev si è esposto pubblicamente contro la guerra: come premio, gioca senza bandiera.

Haters

È chiaro come molte scelte vengano fatte più sull’onda dell’emotività che del raziocinio: ragionare infatti comporta perdere tempo nel frenetico mondo in cui viviamo. Del termine “odio”, poi, più che un uso se ne fa un abuso, ed è diventato ormai complesso individuare quali comportamenti siano effettivamente atti d’odio; inoltre, odiare, pur essendo il sentimento più comune tra gli uomini, diventa anche motivo di vanto per chi ne è oggetto, come se l’essere dispregiati testimoniasse una sorta di eroismo: ci sono uomini politici, influencer, giornalisti che millantano inesistenti campagne d’odio nei loro confronti -come se ciò provasse il loro valore- e altre persone che invece, pur avendo subito torti pesanti, faticano ad ottenere giustizia sul web perché, in tal caso, viene rispettata diligentemente la famosa policy di Facebook, alimentando ancor di più i sospetti sui “doppi standard“ usati dall’azienda a seconda delle proprie simpatie politiche. 

La figura dell’“odiatore da tastiera” viene costantemente stigmatizzata, con parodie notevoli come il “Napalm 51” interpretato da Crozza o con frasi talmente abusate da risultare stucchevoli. Poi però se l’odio viene indirizzato contro qualcuno che all’occidente non piace, allora si chiude un occhio. L’hater, l’odiatore – con un semplice ma vetusto termine italiano – è cattivo o no? Il web è un porto franco dove ognuno può scrivere ciò che vuole? Dovremmo chiudere un occhio sullo stato emotivo della persona? Chi stabilisce in quali casi siamo giustificati a usare un linguaggio violento e aggressivo? Nessuno lo sa. Ma forse a pochissimi interessa.

Crozza interpreta Napalm 51
Il “Napalm 51“ di Crozza, odiatore per eccellenza.

Conclusioni

Personalmente sono contrario a qualsiasi tipo di censura: le opinioni, anche le più distanti dalle mie, se rimangono nei limiti di civiltà non mi fanno alcun tipo di paura per due motivi: il primo è il più banale, ovvero che nel grande universo del pensiero si può incontrare tutto e il suo contrario, quindi il risultato è sempre zero. In secondo luogo sono convinto che la vitalità di una società si misuri non dai mi piace, ma dalle idee. Non è un caso che le grandi stagioni del pensiero occidentale siano sorte nei momenti di grande sviluppo della società. I pensatori hanno reso immortale Atene, così come la Firenze del ‘400 o la Francia dei Lumi. Non credo all’esistenza della categoria sociale degli hater: se chi minaccia è un criminale, chi offende non è un odiatore, ma semplicemente qualcuno che sceglie il modo più comodo per sfogare la propria frustrazione. C’è chi insulta nel traffico e chi invece offende sotto una foto: sarebbe molto carino se tutto ciò non avvenisse, ma la società ha ancora tanta strada da fare prima che ciò avvenga. 

Gli ucraini hanno tutto il diritto di augurare la morte di Vladimir Putin e dei suoi soldati, nessuno mai li biasimerà per questo; è altresì comprensibile, immedesimandosi nei russi, la loro rabbia per la decisione, chiaramente di parte, di Meta. Anche se, come un vecchio saggio diceva: che chi è causa del suo mal, pianga sé stesso. 

Alla fine, questa vicenda riporta all’attenzione lo strapotere di multinazionali che agiscono completamente ab-solute da qualsiasi legge; ma qualcuno ha il potere per di porre un freno al loro arbitrio? Non credo: i buoi dal recinto sono scappati da un po’. 

Immagine di copertina: L’odio sul web, di Anna Maria Stefini

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