Frame del film Ritorno a Seoul in cui Frédérique cammina tra le strade di Seoul

Ritorno a Seoul – Tutte le persone che non sarò mai

Il film di Davy Chou dimostra che è ancora sorprendere raccontando la ricerca di sé.

«Chi sono io?» – questa è la domanda inespressa che tormenta Frédérique Benoît (Ji-min Park), la protagonista di Ritorno a Seoul (2022), pellicola scritta e diretta da Davy Chou. Per quanto sia difficile dare una definizione univoca del concetto di identità, essendo stato trattato in modo diverso da molti rami del sapere, questo film vuole mettere in scena un conflitto che scaturisce proprio dalla difficoltà di rispondere a tale domanda, soprattutto quando questa riveste un ruolo fondamentale nella ricerca di un senso e di una direzione nella propria vita.

Frédérique, nota anche come Freddie, è una ragazza francese di origini coreane che si ritrova a Seoul “per caso”, dopo che non ha potuto raggiungere Tokyo a causa della cancellazione di tutti i voli per il Giappone e ha deciso per una meta alternativa. In questa occasione, decide di rintracciare i propri genitori biologici, che non ha mai conosciuto, perché data in adozione in tenera età. Questo viaggio la porterà a scontrarsi con la cultura coreana, ritrovandosi nella condizione di non riuscire a interfacciarsi con il padre e la sua famiglia sia a causa della lingua che della sua formazione occidentale.

Un frame del film Ritorno a Seoul in cui Frédérique interagisce con il padre attraverso un’interprete
Frame del film Ritorno a Seoul.

Tuttavia, è la stessa Frédérique ad adottare fin da subito un comportamento contraddittorio e ostile. Nonostante affermi di non voler cercare i propri genitori, inizia la ricerca appena ne ha la possibilità. Pur cercando di riconnettersi con le proprie origini, continua a ritenersi francese e non è disposta ad adeguarsi in alcun modo alle usanze coreane, risultando spesso irrispettosa e provocatoria nei confronti delle persone che incontra. Cionondimeno, non tutte le resistenze sono ingiustificate, dal momento che, quando riesce a rimettersi in contatto con il padre, si ritrova a dover respingere le insistenti richieste di trasferirsi e mettere su famiglia in Corea.

Nonostante quanto riportato finora possa far pensare il contrario, il racconto non si focalizza sulla sola identità culturale e al conflitto legato a essa. In realtà, il piano su cui si dipana la narrativa è quello individuale ed esistenziale, per cui la cultura gioca solo un ruolo accessorio al fine di trovare un punto di riferimento nella propria vita. L’inquietudine che anima Frédérique, nonostante l’atteggiamento forte e sicuro che mette costantemente in mostra, le impedisce di trovare questo appoggio saldo, come mostrato anche dalla fragilità delle sue relazioni (amorose e non solo).

Frédérique è impegnata in una ricerca senza fine, un viaggio in cui non riesce a trovare un porto sicuro. Le sue azioni sono volte a trovare appigli e punti di riferimento, ma nessuno riesce a placare quel vuoto. Talvolta, per quanto aneli qualcosa, le circostanze impediscono che questi desideri siano soddisfatti: Freddie desidera a tutti i costi ritrovare la madre, ma questa non vuole rimettersi in contatto con la figlia. Nonostante ciò, la giovane si ostina a cercare di rintracciarla, come se quel contatto potesse darle qualcosa che nella sua vita manca, dando luogo all’inseguimento di una risposta che potrebbe benissimo non essere quella che vuole sentire.

Locandina italiana di Ritorno a Seoul raffigurante Frédérique per le strade di Seoul
Locandina italiana di Ritorno a Seoul.

A tal proposito, è illuminante il titolo originariamente scelto e con cui il film è stato presentato a Cannes nel 2022: All The People I’ll Never Be. Il viaggio della protagonista non è altro che un incontro con tutte le persone che potrebbe essere, ma che non sarà mai, perché non vuole o non può rivestire nessuno di quei ruoli. Per esempio, non vuole vivere in una famiglia tradizionale coreana, affermando con forza la sua identità francese; tuttavia, se questa sua appartenenza l’avesse soddisfatta, perché andare alla ricerca delle sue origini dall’altra parte del mondo? 

Davy Chou riflette sul contrasto tra l’esigenza di aggrapparsi a ciò che troviamo nel mondo per costruire una narrativa stabile di noi stessi e il doverci rassegnare alla mancanza di controllo su ciò che è esterno. Il risultato è il cul-de-sac esistenziale rappresentato dal personaggio di Frédérique. Questo aspetto è fortemente enfatizzato anche dalle scelte stilistiche dell’autore. La sua regia si focalizza molto sui primi piani, che mettono in risalto l’espressività o l’enigmaticità dei personaggi. Inoltre, il montaggio e i silenzi enfatizzano la rottura e il distacco tra la protagonista e ciò con cui interagisce, che siano persone o luoghi. 

Ritorno a Seoul, in definitiva, è un film in grado di riflettere sul tema dell’identità in modo profondo. Nonostante lo spunto sia chiaramente legato all’aspetto multiculturale (condiviso dallo stesso regista, francese di origini cambogiane) con cui molti spettatori possono rispecchiarsi, il film contiene un aspetto universale in cui tutti si possono ritrovare. Senso di vuoto, insoddisfazione, necessità di trovare qualcosa in cui riconoscersi: tutti questi sono sentimenti che chiunque può provare durante la propria vita. Il film non fa altro che rappresentare un viaggio, interiore ed esteriore, che tutti siamo portati a intraprendere, anche se questo non ci porterà necessariamente dall’altra parte del globo.

Immagine di copertina: Frame del film Ritorno a Seoul.

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