
Varcata la soglia di questo ultimo mese di dicembre, tutti noi, nella nostra intimità, amiamo interrogarci sul futuro che ci attenderà nel nuovo anno. Ma l’avvenire che dicembre ci permette di scorgere è sempre incerto, incostante, un tempo che non ama venire analizzato. Nasce sotto un cielo ambiguo, dominato da una divinità altrettanto misteriosa, sulla quale, fin dai tempi antichi, si sono succeduti miti e leggende inquietanti.
La divinità dicembrina protettrice dei nati del mese è Saturno. Il suo nome ha origini latine e deriva dal termine satus il cui significato è “semina”. Il dio, infatti, a Roma era ritenuto colui che aveva segnato l’inizio della civiltà umana ed insegnato agli uomini l’arte dell’agricoltura. A ciò si univa anche un altro importante compito: la protezione dell’erario romano, ovvero la cassa di stato. Quest’ultimo punto ne determinava la forte rispettabilità di cui era dotato. Infatti, egli, nel simboleggiare l’atto dell’agricoltura, aveva a che fare con l’arricchimento fisico, ma anche spirituale, della città.
Per questo suo stretto legame con la terra e la prosperità agricola, il dio veniva raffigurato dai romani come un anziano con in mano un falcetto, simbolo che lo collegava, appunto, alla fondamentale attività della mietitura dei campi. Il processo della semina aveva, però, anche un altro significato, oltre a quello che rimandava al benessere economico della città. Esso, infatti, collegava allegoricamente il vecchio anno (simboleggiato dal seme prodotto) con il nuovo (il seme che avrebbe germogliato, previsione dell’anno che stava per iniziare). In questo modo venivano rappresentate la ciclicità degli anni e insieme la loro continuità temporale, con Saturno che incarnava la fine dell’anno vecchio e Giano, invece, l’inizio di quello nuovo, in quanto dio preposto agli incominciamenti.
Scrive Seneca nella Lettera 18 a Lucilio: «Dicembre est mensis: cum maxime civitas sudat» (è dicembre, il mese in cui la vita è più intensa che mai in città). Questo perché in questo mese in onore del dio si celebravano i Saturnalia, una festività istituita a partire dal 497 a.C. che iniziava il 17 dicembre (il dies festus, il giorno festivo per eccellenza), durava sette giorni e rappresentava un evento particolarmente incisivo per la società romana. Saturno, infatti, in questo periodo diventava simbolo di libertà: per una volta all’anno in suo nome era permesso che tutti fossero pari a tutti, che non ci fossero re, né padroni. Si trattava di una trasgressione rituale, legata ad una generale sospensione della legge durante la festa: non si potevano combattere guerre, la pace veniva imposta su tutti, venivano chiusi i tribunali e la personalità giuridica, di conseguenza, subiva un temporaneo annullamento.
Uno degli avvenimenti più eclatanti era la liberazione, per quell’unico periodo festivo, degli schiavi dai vincoli che li legavano ai loro padroni, un evento simboleggiato dal rito che aveva luogo nel tempio del dio, in cui i piedi della sua statua venivano sciolti dalle bende che li avvolgevano (compedes) e che rappresentavano, appunto, le costrizioni della schiavitù. In generale, si creava un vuoto d’azione, un disordine globale che riportava la civiltà ad un momento originario, come se un ciclo temporale si chiudesse e uno nuovo ricominciasse: era, dunque, un vero e proprio rito di restaurazione delle origini umane quello che avveniva sotto l’egida di Saturno.
Tuttavia, se a Roma il dio era ritenuto dotato di virtù positive che lo ponevano ad un alto livello di considerazione all’interno del pantheon della città, lo stesso non si può dire per l’evoluzione della sua figura e delle concezioni legate ad essa che, nel corso dei secoli, lo portarono ad essere considerato un dio (e un corpo celeste) portatore di influenze negative, associate a categorie di persone come ladri, malviventi e malfattori vari.
Questo lato oscuro del dio è da mettere in relazione al fatto che in Grecia il corrispettivo di Saturno era Crono, dio esiliato, figlio di Urano e divoratore dei propri nati. Quest’ultimo, fondendosi con il dio romano, vi aggiunse i propri tratti negativi, caricandolo potentemente di un doppio significato. Saturno/Crono cominciò a recare in sé una marcata ambivalenza interna, poiché in lui si scontravano gli opposti: dio benevolo inventore dell’agricoltura e sovrano dell’età dell’oro, da una parte, dio cupo e solitario, re degli inferiori e divoratore di tutto, dall’altra.
A ciò si aggiunge, inoltre, che la filosofia greca, in particolare quella pitagorica, aveva gettato le basi per la dottrina umorale fondata sui quattro umori (bile gialla, bile nera, flegma e sangue). Tale sistema di elementi generava benessere se in equilibrio e malattia se uno dei quattro umori andava a predominare sugli altri. Una delle malattie più indagate era quella della melanconia: un’affezione di tipo caratteriale causata, secondo gli antichi, dal prevalere della bile nera sugli altri elementi che generava nell’individuo uno stato di malessere psicofisico, depressivo e ansioso. L’aspetto cupo e scostante di Saturno, insieme alla sua aura misteriosa, furono tutti elementi per i quali esso venne considerato come l’astro della melanconia, che rendeva, appunto, melanconici coloro che nascevano sotto il suo influsso cosmico; in più, nell’arcaica distinzione tra pianeti buoni e cattivi, esso era anche classificato tra questi ultimi in quanto pianeta più lontano dal sole, freddo e ventoso.

La filosofia platonica tentò di ridare una nuova lettura all’associazione negativa dello stato melanconico attribuito al dio Saturno, collegandone il significato al concetto di furore. Socrate, all’interno del Fedro, riteneva infatti che il furore fosse un dono divino: non solo perché era considerato essere uno dei tratti principali che caratterizzavano gli eroi maledetti e puniti con la pazzia – come Ercole, Aiace e Bellerofonte nelle tragedie di Euripide -, ma anche per il fatto che, tramite questa nuova valenza, la melanconia assumeva un diverso significato avvicinandosi al concetto greco di intelletto (νοῦς, noûs) che innalzava il filosofo ad un’intelligenza sovrarazionale.
Questa teoria non prese il sopravvento e gli influssi di Saturno continuarono a venire reinterpretati nei secoli, fino ad assumere le più sinistre declinazioni, come quelle che lo legavano ai morti per impiccagione o agli assassini.
Nel Rinascimento il concetto di melanconia collegato a Saturno, le caratteristiche della divinità e i suoi misteriosi influssi come pianeta, continuarono ad affascinare studiosi, artisti e letterati, che però non riuscirono mai a determinare esattamente se i suoi effetti sui nati del mese fossero negativi o benevoli. A questo proposito il filosofo Ficino, nel De triplici vita, sosteneva che fosse la dicotomia interna insita nel dio Saturno/Crono a governare gli animi dei suoi nati, scrivendo che «Saturno raramente indica un tipo e un destino umano di natura comune, piuttosto un uomo isolato dagli altri, divino o bestiale, beato oppure oppresso dalla più profonda miseria».
È, dunque, una continua lotta tra opposti quella che caratterizza chi nasce sotto gli influssi di Saturno, dove saggezza e determinazione, talvolta, si possono scontrare con stati d’animo profondamente melanconici e scostanti rendendo il suo cielo tanto affascinante, quanto temuto.

Immagine di copertina: Saturno, illustrazione di @cia_rro