
Abbiamo incontrato Greta Tosoni, la sex coach, divulgatrice, queer educator e co-fondatrice di Virgyn&Martyr, un caldo pomeriggio di Agosto, con la città svuotata e gli ultimi preparativi del Pride alle porte. Con lei abbiamo aperto un dialogo profondo sulle tematiche di genere, l’educazione alla sessualità e all’affettività, che abbiamo condensato in una lunga intervista, della quale questa è la prima parte.
Ciao Greta, grazie per questa intervista. La prima domanda che vorremmo farti riguarda il territorio: tu credi che, così come accade per altri ambiti quali il diritto all’aborto, anche sull’educazione sessuale ci sia una differenza di ricezione tra i vari territori che frequenti?
Assolutamente sì, me ne sono accorta nel mio lavoro con le scuole. Io e la mia associazione Virgin & Martyr siamo state chiamate molto spesso in Nord Italia e al Centro, sia dalle scuole che dai ragazzi, mentre al Sud solamente dai ragazzi. A volte ci sono stati dei professori illuminati che hanno provato a contattarci anche dal Meridione, ma le difficoltà organizzative legate ai nostri spostamenti implicano chiaramente più costi per una scuola del Sud, che spesso non ha mai dei fondi da stanziare. Non che le scuole del Nord e del Centro abbiano più fondi: per assurdo, le scuole che di solito sono riuscite a finanziarci sono del Trentino, quindi più a Nord possibile [ride]. Negli altri casi, invece, erano progetti finanziati esternamente, di cui le scuole beneficiavano. In generale, le possibilità non sono uguali dappertutto, e solitamente le grandi città – Roma, Milano, Torino, Bologna – sono le più gettonate. A Brescia ci siamo portarti noi in città, e non senza difficoltà: per esempio, ci sono stati tanti professori legati all’ambiente cattolico che non vedevano di buon occhio il fatto che si parlasse di sessualità con iniziative che si focalizzavano soprattutto sul rapporto col proprio corpo. In questi casi mi è capitato che gli studenti, invece, mi ringraziassero perché si sentivano finalmente inclusi in un percorso che di solito gli è negato. Quindi sì, la differenza tra i vari territori c’è e l’ho vissuta sulla mia pelle: è una differenza legata ai fondi, ma anche alla reticenza del corpo scolastico, che spesso rappresenta un ostacolo anche quando i soldi ci sono, magari per paura delle reazioni dei genitori. Una volta dovevamo fare un incontro in un’autogestione, ma poco prima è arrivata al sindaco di quella città una lettera di alcuni genitori che chiedevano che l’incontro non si tenesse. A noi nessuno aveva mai chiesto cosa avremmo fatto né chi eravamo, loro semplicemente hanno fatto le loro ricerche su di noi e deciso che non si doveva fare.

Sembra quasi paura.
È paura. Ma non la biasimiamo, perché se tu genitore un bel giorno scopri che verranno a scuola a parlare anche a tuo figlio di sessualità, chiaramente ti allarmi. In primis perché tu non sai cosa significhi educare alla sessualità perché nessuno ti ha mai educato, e di conseguenza temi che qualsiasi cosa possa venir detta a tuo figlio possa influenzarlo. Come se, tra l’altro, la sua vita non lo influenzasse già: ci si dimentica che esiste l’educazione sessuale informale, che è quella che apprendiamo dai media e dalle persone intorno a noi – tutto quello che ci cresce crea infatti la nostra idea di sessualità. Il problema è che se non ci rendiamo conto di questa influenza, qualsiasi altra assenza di guida porta allo sbaraglio, perché hai tanti imput e devi navigare un mondo complesso in cui anche se nessuno parla di sesso te lo fanno vedere tantissimo. Il mondo intorno a noi è iper-sessualizzato, però poi sull’educazione sessuale si pongono veti, perché “chissà cosa gli dicono”. Ma l’educazione sessuale non ti dice come vivere la sessualità, piuttosto ti dice cos’è la sessualità, quali sono le possibilità e ti fa vedere gli strumenti che puoi avere per tutelarti e per viverla meglio: poi sarai tu a decidere come, se, quando e perché farlo. Il problema è che questo tipo di approccio non è regolamentato in Italia, e senza regolamentazione non c’è un modus operandi condiviso che mette d’accordo tutti: si lascia quindi autonomia agli enti pubblici o alla singola scuola, che possono decidere di chiamare tanto il sessuologo quanto il prete.
In qualche modo tutti noi in Italia siamo figli di una mancanza di educazione sessuale.
Certo. Nel nostro Paese non stiamo facendo i “compiti a casa” per quanto riguarda i patti che abbiamo siglato, dalla Convenzione di Istanbul del 2014 fino a moniti più recenti dell’Unione Europea, che continua a dire che è necessario rendere obbligatoria l’educazione sessuale. Tanti paesi europei l’hanno già fatto, noi siamo tra gli unici a non averla resa obbligatoria. Una delle ragioni di questa mancanza è la forte influenza religiosa, ultracattolica, che ha diffuso l’idea che l’educazione sessuale veicoli chissà quali idee dogmatiche sul gender e via dicendo. Come se la religione stessa non influenzasse con i propri dogmi, basta pensare alla nostra percezione del pudore o della verginità, ma anche influenze morali e giudizi. Per non parlare poi dell’oppressione dei ruoli di genere o di riti come quello del matrimonio, in cui la donna passa letteralmente da un uomo all’altro, dal padre al marito. Sono tutte idee che dobbiamo poter mettere in discussione, e se non c’è spazio, apertura, non si può fare.

E secondo te la religione o comunque una sua interpretazione così estrema è presente a scuola?
La prova che la scuola non sia laica la fornisce il fatto che in tutte le aule sia presente il crocifisso e che nell’ora di religione si insegni quasi sempre la religione cattolica. La nostra Costituzione ci dice che siamo un Paese laico, ma di fatto non è così. Il corpo docenti è fatto da persone che hanno le proprie idee e le portano all’interno della scuola, influenzando di fatto gli studenti ma pensando di non starlo facendo. Ti dicono che non si può entrare a scuola col velo, però il crocifisso lo si può tenere appeso. Bisognerebbe educare gli italiani, e l’educazione sessuale stessa dovrebbero riceverla tutti, dai bambini agli adulti. Si pensa che i suoi unici destinatari siano gli adolescenti, ma non è vero: se non si sta facendo educazione sessuale adeguatamente, è perché gli adulti per primi non l’hanno avuta, e dovrebbero cominciare a riceverla. Meglio tardi che mai. Se non cominciamo adesso a cambiare il quadro di stereotipi e pregiudizi ereditato dalle generazioni passate, non cambieremo la situazione attuale dei ragazzi delle scuole e dei giovani. Nella situazione attuale, altrimenti, uno vive la propria vita sessuale per tentativi ed errori, ma questi errori li potremmo invece prevenire con l’educazione. Senza quest’ultima è come mettere delle persone in macchina senza dir loro come si guida, ci sarebbero solo incidenti. Bisogna avere ancora più offerte educative e coeducative: è l’unica strada.
Sembra quasi che tu e tutte le persone coinvolte in quest’ambito siate combattendo una battaglia. Da un lato, siete diventate un po’ l’obbiettivo contro cui scagliarsi, dall’altro sembra che i giudizi vengano dati a empatia, senza un’unità di misura oggettiva o una base scientifica.
È verissimo, e questo spunto mi riporta al tema degli effetti quantitativi di un’educazione sessuale, che possiamo misurare e dimostrare. Per esempio, meno gravidanze indesiderate, meno aborti, meno rischi di infezioni da malattie sessualmente trasmissibili, meno violenze. Il problema è che poi ci sono anche una serie di dati che non sono misurabili ma che sono importantissimi, come quanta soddisfazione traiamo dalle nostre vite sessuali, quanto conosciamo noi stessi, quanto consideriamo appagante l’esplorazione, quanto riusciamo a interagire con gli altri in maniera pacifica o a creare una dimensione di cura nelle nostre relazioni. Tutto questo non è misurabile, ma è come se fosse più della metà del risultato che vogliamo ottenere. Questo fatto crea un po’ di confusione, e lo capisco. Però anche l’ambito di ciò che possiamo misurare non mi sembra da poco: sono cose che cerchiamo da anni di contrastare – e spesso con campagne di pessimo gusto. Non è certo l’affissione di un manifesto con un feto a far diminuire il numero di aborti, ma è un’educazione sessuale che ti faccia capire che sei tu a decidere e autodeterminare se avere figli, quando e come, e che se non li vuoi avere ci sono tanti modi di non averli. E per assurdo tutti coloro che sarebbero “pro vita” e che non vorrebbero aborti sono anche contro l’educazione sessuale, non capendo che si stanno mettendo i bastoni tra le ruote. A maggior ragione, se si consapevolizza di più la gente, ci sono anche molte più persone che affrontano la scelta di avere un figlio con più buonsenso e non perché si pensa che il figlio sia una tappa necessaria della vita. Anche questa, d’altronde, è un’idea che ci viene dalla religione, che era figlia del suo tempo: è ovvio che in epoche come il medioevo, in cui morivano molte più persone, bisognava far sì che ci fosse un incentivo a fare figli, ma adesso non ne abbiamo più così bisogno. Queste pressioni chiaramente influenzano tantissimo se non ti rendi conto che sono imposizioni pensi che siano regole. Molte persone non le mettono in dubbio perché stanno comodi dentro queste regole e conformità, e se non ci stanno comodi imparano a starci perché l’essere umano è in grado di abituarsi a tutto: ma questa nostra adattabilità ci ha giocato anche un brutto scherzo perché ci ha fatto fare tranquillamente il lavaggio del cervello, del tipo “sarà che la vita non può essere di meglio e quindi mi accontento”.
Anche perché se esci dagli schemi rischi di essere escluso dal gruppo.
L’esclusione è la prima cosa, infatti la vergogna e l’esclusione sono tutti strumenti che si sono sempre utilizzati per uniformare il modo in cui la gente vive la sessualità e controllarla. È importante pensare alla storia, perché davvero molte influenze partono da ere in cui c’erano delle difficoltà e sistemi sociali completamente diversi, nei quali un gruppo di pochi, col potere, poteva permettersi di influenzare le persone attraverso tutto ciò che può far cambiare idea alla gente, come la vergogna, l’esclusione sociale, la pressione sociale o anche la promessa del successo, dicendo cioè “se tu fai quello che ti dico io andrà tutto benissimo, se invece non fai così sarai escluso, proverai vergogna, etc…”.

Nella storia, però, ci sono sempre stati esempi controcorrente, con testi che affrontavano il sesso senza troppa vergogna, come il Decameron o altri testi meno conosciuti, in cui si trovano discorsi e storielle a tema sessuale anche molto più sboccate di quelle che si possono sentire oggi.
E per cercare di limitare questa sboccatezza si è cercato di imporre dogmi morali e dire cose come “se ti masturbi diventi cieco”. Il pensiero cattolico ruota attorno al fatto che non si possa spargere il seme, perché non utilizzarlo è un peccato, è come l’aborto. Era una scusa che un tempo poteva servire, perché con essa si cercava di limitare tutto quello che poteva anche aumentare la diffusione di infezioni, in quanto più rapporti sessuali non protetti e peggiori condizioni igieniche voleva dire anche più morti. Oggi, invece, stiamo parlando di tutto un altro mondo e anche se le infezioni continuano ad esistere le persone vivono la sessualità con molte più diramazioni, anche solo il digitale ci fa capire quanto la sessualità sia pur sempre parte della nostra vita e quanto la mettiamo in ogni ambito.
Per tanti che vivono in piccoli paesi, vivere la propria sessualità liberamente può essere difficile, perché le voci corrono in un attimo e si è subito giudicati.
Infatti per me questo è diventato un chiodo fisso, nel senso che vorrei capire il più possibile come fare azioni che vadano a beneficiare le zone periferiche e di provincia, proprio perché ce n’è più bisogno e non si può come sempre cominciaredalle città e pensare a espandesi fuori solo in seguito. A me piacerebbe pensarci già avendo a mente tutto, anche se è più complesso.
Tu di solito a che età inizi a fare educazione sessuale?
Io ti direi che andrebbe fatta già dall’asilo, con un’educazione al corpo, per far conoscere al bambino quali sono le sue parti del tuo corpo, le emozioni che senti, come ti rapporti ad esso e agli altri.
Nella realtà qual è il grado di istruzione più basso a con cui hai lavorato?
Finora le medie. In generale credo che si debba partire da ogni età e far capire che quello dell’educazione sessuale è un discorso che deve arrivare a tutti, e quindi per fare educazione sessuale come ce la immaginiamo dovrebbe esserci anche una formazione per insegnanti, genitori o tutte quelle persone che semplicemente vogliono essere formati su questa cosa. E vanno formati anche gli infermieri e i medici, cioè tutte coloro che lavorano nella sanità pubblica. Allora sì che potremmo iniziare e partire.

Immagine di copertina: Greta Tosoni, a cura di Lorenzo Verga.